È sempre più soddisfacente la relazione tra italiani e welfare aziendale, scrive Irene Maria Scalise sulle colonne de La Repubblica.
Nel 2023 il credito welfare pro-capite è stato di 910 euro, tanto che esso per 7 italiani su 10 è ormai considerato un “tesoretto” irrinunciabile. Non solo. Diventa un bonus anche contro il temibile burnout professionale.
A fotografare lo stato del welfare aziendale in Italia è il rapporto annuale dell’Osservatorio Welfare di Edenred Italia: è in aumento la capacità di consumo, cambiano i capitoli di spesa e i fringe benefit salgono sul podio come prima scelta dei beneficiari. Non solo. I buoni pasto sono tra i benefit più apprezzati, seguiti dai servizi per la salute (31%) e da convenzioni e scontistiche (25%) di varia natura.
Il dato di partenza dell’indagine Edenred riguarda la disponibilità media di spesa per ciascun beneficiario che, per il 2023, ammonta appunto a 910 euro. Un valore in crescita, se paragonato agli 850 euro del 2021, ma in leggero calo rispetto ai 940 euro del 2022.
Interessante anche notare come spendono i lavoratori i benefit del loro welfare. Prevalgono i fringe benefit con il 31,8% del totale, seguiti dall’area ricreativa con il 29,5%. Funzionano anche i capitoli che rientrano sotto la dicitura di “macroarea sociale”, come istruzione (19,6%), previdenza integrativa (9%), assistenza sanitaria (5%) e assistenza ai familiari (1,2%), che compongono il 34,8% della spesa complessiva.
Ma analizzando il rapporto, emergono dettagli che illustrano una novità inaspettata. Il piano welfare diventa una sorta di antidoto al burnout, per aumentare il coinvolgimento e la soddisfazione sul posto di lavoro. Commenta Fabrizio Ruggiero, ad di Edenred Italia: «Secondo i nostri dati il 68% dei lavoratori intervistati considera molto importante l’effetto della condizione lavorativa sulla propria salute mentale e psicologica. Questo significa che le aziende devono impegnarsi per creare le condizioni affinché si possa lavorare al meglio. Le nuove generazioni in particolare non sono più attratte unicamente da leve quali la stabilità o la remunerazione, non vogliono essere scelte dall’azienda, sono loro a volerla scegliere. Noi imprese dobbiamo fare i conti con questo radicale cambio di paradigma”.
Ci sono i numeri ad avvalorare questa tesi: più motivati, i dipendenti che possono usufruire di piani di welfare segnalano un miglior benessere lavorativo ed emotivo e si sentono responsabilizzati e apprezzati. Tanto che il 62% indica proprio nel sentirsi responsabilizzato il valore più importante, seguito dal sentirsi apprezzato (52%) e coinvolto (51%). Il 76% del campione intervistato dichiara di aver provato almeno un sintomo attribuibile al burnout. Il 68% dei dipendenti ritiene molto rilevante l’impatto della condizione lavorativa sul benessere mentale e psicologico. Ma, nei fatti, quante aziende usufruiscono di questo prezioso strumento? Il 42% dei dipendenti dichiara che la propria azienda ha adottato un piano di welfare strutturato, contro il 46% che invece non lo ha previsto. La percentuale di coloro che hanno un piano di welfare sale al 53% tra le aziende con oltre mille dipendenti.
In un Paese come il nostro, in cui i salari sono sempre troppo bassi rispetto alle medie europee, i consumi si riducono e la necessità di bonus extra sempre più cruciale per poter affrontare spese necessarie, dalla salute all’assistenza familiare, dalla sanità alle attività ricreative, il welfare aziendale diviene uno strumento sempre più prezioso per far fronte a tali spese.
Ma c’è di più: assistiamo, ormai in tutto l’Occidente, ad un cambio di paradigma culturale profondo, e inarrestabile. Oggi i lavoratori preferiscono guadagnare meno ma poter godere di maggiore benessere sul posto di lavoro. La mentalità, che trae le sue origini da un pensiero calvinista/protestante, e che aveva come obiettivo molte ore di lavoro e salari più elevati, ha oggi fatto strada ad un’idea diversa di conciliazione dei tempi tra vita personale e attività lavorativa.
Oggi i lavoratori non accettano più il classico esaurimento da burn-out sul posto di lavoro, che in passato sembrava quasi uno scotto inevitabile da pagare. Meglio una maggiore flessibilità concordata di gestione del tempo, e un equilibrio casa/lavoro, con la possibilità di usufruire di sostegni derivanti dai bonus aziendali.
Tanto che il grado di soddisfazione dei lavoratori che ricevono benefit è elevatissimo, tanto da vedere anche un miglioramento delle performance lavorative.
I fringe benefit sembrano oggi essere i più amati dagli italiani, usati dal 31,8% delle imprese, mentre al secondo posto troviamo i “tesoretti” destinati all’area ricreativa e utilizzati dal 29,5% delle imprese. A seguire istruzione, previdenza, assistenza sanitaria e ai familiari, buoni pasto. Laddove non arriva il salario, o il welfare statale, c’è il welfare aziendale. Una strada ormai imprescindibile per tutte le imprese, anche quelle piccolissime.
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