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Se la crescita economica si sposta verso Est
13 Novembre 2023 Confartigianato Puglia

Analizzando il report diffuso dall’Ocse sull’andamento dell’economia globale emergono due fenomeni di fondo. Il primo è dato dalla decisione americana di cambiare il corso della globalizzazione, ricorrendo in misura estensiva a politiche industriali e alla contrapposizione con la Cina, che contribuisce a rallentare la crescita e a creare un clima di incertezza crescente. Il secondo è il progressivo, costante, spostamento a Est del pendolo della crescita. Sia nel 2023 che nel 2024 i Paesi a maggior tasso di crescita del Pil saranno India, Cina e Indonesia. La crescita media si dovrebbe attestare poco sotto il 3% mentre per Usa ed Eurozona sono previsti dati scoraggianti: +1% nel 2024 per Washington e numeri prossimi a quelli da prefisso telefonico per l’Europa. Stiamo assistendo dunque ad un profondo ribilanciamento globale degli assetti economici. L’area euro-americana sta perdendo posizioni nel ranking globale: una condizione che facciamo ancora fatica a comprendere e accettare. D’altro canto si sta affermando una prospettiva multipolare nella governance mondiale. E non è più solo un tema legato alla Cina in particolare: arrivata a contribuire per il 35% della crescita economica mondiale, è ora affiancata (e superata), in termini di ritmo di crescita, dall’India, che deve però ancora confermare la sua capacità di diventare volano aggiuntivo rispetto alla Cina. La sua economia, infatti, vale meno del 20% rispetto a quella del Celeste Impero e ha bisogno, in primo luogo, di trasformarsi in potenza manifatturiera – e non solo dell’Information Technology – per acquisire la dignità di polarità in grado di confrontarsi autorevolmente con quelle di Pechino e Washington; in secondo luogo, ha necessità di valorizzare adeguatamente l’enorme dividendo demografico disponibile (360 milioni di ragazzi sotto i 14 anni nel 2021). In chiave prospettica i 14 Paesi asiatici limitrofi alla Cina potranno inoltre rappresentare un motore ulteriore che sostiene lo spostamento verso est del pendolo economico. Il “rischio geopolitico Cina” sta infatti spingendo moltissime imprese straniere, ma anche cinesi, a rilocalizzare parte degli insediamenti produttivi in zone limitrofe: nasce così la cosiddetta Altasia, acronimo rappresentativo delle destinazioni, alternative alla Cina, in grado di produrre beni da destinare al resto del mondo. Ed è già, nei fatti, una realtà economica per quanto non possa essere considerata come una entità singola bensì l’insieme di economie diverse, che hanno in comune il fatto di essere alternative al Dragone. Altasia ha esportato negli Stati Uniti, nei 12 mesi antecedenti settembre 2022, beni per oltre 630 miliardi di dollari contro i circa 610 della Cina. Vanta oltre 150 milioni di persone (tra i 25 e 54 anni) con un’educazione universitaria contro i 145 della Cina. Ma la sfida per il futuro sarà tutta infrastrutturale: solo grazie al consolidamento della loro capacità logistica questi 14 Paesi potranno, nel tempo, rappresentare una destinazione complementare credibile rispetto a quella cinese. La Cina, dal canto suo, è in un momento di fragilità economica: i dati di ieri hanno messo in evidenza come le esportazioni di maggio siano calate in misura massiccia e la domanda interna faccia fatica a decollare. Il cambio di approccio sia economico sia geopolitico di Washington sta mutando in modo significativo, e forse irreversibile, gli equilibri postSeconda guerra mondiale; la leadership americana, in questo nuovo contesto, non è affatto scontata. Cruciale sarà, da questo punto di vista, la capacità di Washington di affermarsi come opportunità economica per i Paesi di Altasia e l’India, che possono così ergersi assieme all’Occidente a sistema alternativo alle autocrazie figlie di imperi secolari quali Cina, Russia, Turchia, Iran e Arabia Saudita. Il Pil globale crescerà del 2,7% quest’anno e del 2,9% nel 2024, mostrando livelli storicamente piuttosto bassi nelle serie statistiche. A sorpresa l’economia più forte sarà quella indiana, che crescerà tra il 6 e il 7%, dunque superando la storica “rivale” cinese, che invece mostra percentuali inferiori, sul +5,1% nel 2024, con l’export in forte frenata, i consumi interni che non decollano e un rapporto privilegiato con Mosca che la sta solo danneggiando. Le nuove previsioni dell’Ocse confermano la crescita esponenziale delle economie asiatiche, che faranno da traino al motore economico mondiale. Superati i tempi in cui la Cina faceva anche oltre il 10% di crescita del Pil: oggi è l’India a trainare il Pil globale, assieme alle economie del cosiddetto gruppo Altasia, che raggruppa circa 14 Paesi asiatici, limitrofi alla Cina. Con l’inflazione che colpisce severamente le economie occidentali, i consumi in ritirata e la grande transizione (reshoring, onerosi investimenti in digitale, ambiente, materie prime) in cui sono coinvolte Stati Uniti ed Europa (che ha anche una guerra in “casa”), il pendolo della crescita si è oggi spostato decisamente in Asia. Le incertezze sul fronte occidentale sono tante, addirittura la locomotiva tedesca è entrata in recessione, e dunque la crescita rimane contenuta. Senza contare che l’Occidente dovrà anche scontare le ripercussioni di politiche monetarie restrittive da parte delle banche centrali, che, proprio per affrontare il mostro inflattivo, stanno alzando i tassi di interesse, con il rischio di congelare ulteriormente la ripresa economica. In questo scenario, in cui tra l’altro Washington e Pechino si ritrovano in una vera e propria guerra fredda crescente, l’Asia risalta per vivacità e produttività. L’Oriente avanza e l’India è la sua superstar. Certo, le criticità, come visto, anche qui non mancano, e sono numerose. Ma il dinamismo del Subcontinente indiano e dei Paesi limitrofi è innegabile, con una popolazione giovanissima e un alto numero di laureati, il futuro sembra essersi spostato a Est, con la possibilità di divenire il nuovo baricentro economico globale, mentre l’Occidente arranca, intimorito e sempre più “anziano”.

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