Una costellazione di imprese artigiane

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RAPPORTO R.ETE. IMPRESE ITALIA: “GLI INTERESSI DELL’IMPRESA DIFFUSA IN TEMPO DI CRISI E LE STRATEGIE DELLA RAPPRESENTANZA”

Studi e Ricerche

Era difficile prevedere l’intensità e il vigore con cui si sono concretizzate le trasformazioni del sistema produttivo del nostro Paese. Al piccolo imprenditore sono venute a mancare certezze consolidate e punti di riferimento: sono cambiate le dimensioni del mercato, sono cambiate le aspettative dei clienti sia in termini di prezzo (che vorrebbero ridotto) sia di qualità (che invece aumentano), sono cambiati nelle forme e nei contenuti i rapporti con i tradizionali interlocutori, primo tra tutti il mondo bancario.

Le piccole imprese, oggi più che nel passato, hanno l’esigenza di essere affiancate e sostenute da un partner dotato delle visioni, delle competenze e dell’autorevolezza necessaria per aiutarle ad affrontare in modo attivo la difficile transizione che è attualmente in corso.

 

L’intensificarsi e il moltiplicarsi dei bisogni

 

Di seguito si intende dar conto di come l’attuale congiuntura si ripercuota sui rapporti tra l’azienda iscritta e le Associazioni di categoria, attraverso sollecitazioni e stimoli differenti rispetto al recente passato. Il punto d’osservazione è quello dei dirigenti territoriali che quotidianamente svolgono la propria azione sul terreno, in strutture che si trovano in costante relazione con gli imprenditori e quindi ne condividono le sfide, i desideri e gli affanni.

 

La poliedricità delle situazioni di crisi

 

Ogni città, ogni territorio, ha la sua natura, le sue specializzazioni e le sue vocazioni. In molti casi, la crisi iniziata nel 2008 sembra avere sostanzialmente accelerato dinamiche già in atto a livello locale. Ciò comporta che l’impatto sul piano nazionale sia stato diversificato, sia nell’intensità che nei tempi (e nei modi), e di conseguenza che, al di là di alcuni tratti comuni, di alcune esigenze trasversali e condivise, anche i bisogni del mondo imprenditoriale assumano sfumature differenti nei singoli territori.

Sono quindi le Associazioni che localmente devono confermare un’autonoma e adeguata capacità di elaborazione e di risposta nei confronti delle esigenze prevalenti del tessuto produttivo, declinando sulle specifiche realtà formule e modelli condivisi.

Si deve in ogni caso precisare che, al di là delle specificità territoriali, è opportuno porre in rilievo alcuni fenomeni che hanno invece valenza trasversale e che si ripercuotono in maniera significativa sul mondo della piccola impresa:

- la crisi dell’edilizia, ormai diffusa in tutto il Paese;

- l’effervescenza che invece caratterizza le attività legate alla green economy e ad altre filiere innovative o correlate alla tipicità e alla qualità;

- il riposizionamento dei consumi, con un arretramento di tutto il commercio extra-alimentare (in particolare per quel che concerne abbigliamento, calzature, pelletteria e beni durevoli), mentre a crescere è soltanto l’elettronica.

 

La mappa delle esigenze condivise

 

Gran parte delle piccole aziende sta affrontando l’attuale situazione economica con un atteggiamento che oscilla tra l’attendismo e la rassegnazione. L’opinione dei dirigenti associativi è invece molto netta: quella che viene chiamata semplicemente crisi è invece la nuova realtà della competizione e le imprese hanno bisogno d’essere aiutate a comprendere questo cambiamento in atto, hanno bisogno di essere aiutate a guardare al proprio interno per capire cosa e come può essere migliorato per recuperare competitività:

- nelle attività artigianali o manifatturiere si traduce nell’assisterli nel qualificare la produzione, imparando a generare maggior valore con una minore attività; vuol dire esplorare nuovi mercati, diversificare i committenti, puntare sull’innovazione e l’internazionalizzazione, nonché essere disposti a sperimentare forme di rete, di collaborazione con altre aziende, anche a costo di perdere un po’ della propria indipendenza;

- dal punto di vista gestionale significa imparare a non sovrapporre troppo la situazione e la gestione economica dell’azienda con quella della famiglia e riuscire a valutare la propria esposizione, i rischi e le opportunità derivanti da eventuali investimenti.

- nel commercio ciò implica invece accompagnare i piccoli imprenditori a fare un’analisi del merchandising, del visual, della logica con cui il cliente acquista; significa aiutarli a segmentare la clientela ed i prodotti, a superare un orientamento generalista per puntare invece sulla qualità, sul brand del territorio, sulla fidelizzazione del cliente;

Le aziende, prima di ogni altra cosa, necessitano di accompagnamento e tutoraggio. Più nello specifico, hanno bisogno di formazione e di informazione: hanno bisogno di un costante aggiornamento delle proprie competenze professionali e di acquisire gli elementi per sviluppare una autonoma capacità di visione e di interpretazione del contesto in cui operano. Ma anche questi sono bisogni impliciti, non dichiarati e cui forse le aziende stesse non prestano la dovuta attenzione.

Al primo posto tra i bisogni espressi vi è invece la richiesta incessante e talvolta drammatica di credito, inteso non tanto come risorse per realizzare investimenti (che spesso la crisi ha praticamente arrestato), quanto di semplice e immediata liquidità, quella liquidità che sola può consentire di continuare a pagare stipendi e contributi, ad acquistare prodotti e a garantire quantomeno la sopravvivenza dell’impresa.

Per lo stesso motivo, per le piccole aziende è una priorità che si riesca a fermare l’abuso della Pubblica Amministrazione di una forte dilatazione dei tempi di pagamento.

Tra le nuove esigenze alimentate dalla crisi emerge la richiesta di affiancamento per gestire le relazioni sindacali ed accedere, laddove previsti, agli ammortizzatori sociali.

Come si può notare parte dei bisogni fin qui citati, per essere soddisfatti, richiedono un intervento caratterizzato da un’elevata componente di personalizzazione: che si parli di consulenza aziendale, di formazione, di accesso al credito, di negoziazione datoriale, il supporto atteso deve necessariamente essere individuale e qualificato, contenendo quindi un’evidente funzione di servizio.

Altri bisogni richiedono invece un’azione che assume più specificatamente i tratti della rappresentanza. Si tratta dei grandi temi al centro del dibattito politico, nazionale ma sempre più spesso anche territoriale quali la fiscalità, l’occupazione, le liberalizzazioni o lo sviluppo; questioni sulle quali le aziende evidenziano la necessità ancora forte di avere al fianco un portavoce che ne tuteli gli interessi, i valori, le aspettative.

Al tempo stesso, le aziende richiedono comprensione e supporto, specialmente quando sbagliano (per colpa o per necessità) in un contesto di regole chiare e certe, semplici e realmente applicate.

 

Alla ricerca dell’incontro, tra marketing innovativo e valore della tradizione

 

Se da un late le Associazioni di categoria sono chiamate, oggi più che mai, ad offrire il massimo sostegno in termini di competenze e professionalità, dall’altro, le occasioni di incontro tra il mondo della rappresentanza e quello delle imprese non siano sempre facili, per i seguenti motivi:

- l’evoluzione delle normative ed in particolare taluni processi di deregolamentazione in atto da diversi anni riducono (almeno in parte) la necessità di affidarsi ad un soggetto che funga da interfaccia tra l’operatore e le istituzioni;

- il livello culturale degli imprenditori, cresciuto rispetto al passato, in taluni casi può portare ad un ridimensionamento del rapporto tecnico con l’Associazione ;

- la situazione economica tutt’altro che favorevole può rappresentare un incentivo a comprimere il più possibile i costi, anche quelli relativi alla quota associativa e a determinati servizi, ed in questo alcune imprese ritengono di trovare una conveniente alternativa nelle tariffe praticate da commercialisti e consulenti che tendono a loro volta preoccupantemente ad ribasso;

- infine, sembra possibile cogliere qua e là un deficit di domanda di rappresentanza, soprattutto da parte delle giovani generazioni di imprenditori, forse anche perché deluse dalle risposte ai loro bisogni che giungono attraverso i canali tradizionali della politica.

Le crescenti resistenze che si incontrano nell’intercettare nuove adfesioni, unite alle difficoltà nel mantenere quella fidelizzata (tra dinamiche demografiche non sempre favorevoli e un incremento della mortalità d’impresa attribuibile all’attuale congiuntura di crisi) inducono molte Associazioni ad un (forse) inedito attivismo sul versante della promozione e del marketing associativo.

Molto più che nel passato, le Organizzazioni  della rappresentanza sono ormai soggetti attivi, alla ricerca di soluzioni originali per intercettare nuovi associati. Non ci si limita più soltanto ad attendere che sia l’azienda a recarsi presso le varie sedi, ma si sperimentano nuove politiche e nuovi canali di promozione.

Due soluzioni utilizzate dalle Associazioni che optano per un approccio proattivo, di vendita dei propri servizi e non soltanto di soddisfazione delle richieste dell’utente, sono rappresentate dalla figura del promoter e da quella dell’esperto di marketing associativo.

I risultati che si possono ottenere tramite un promoter sono, però, piuttosto modesti. Offrire servizi tradizionali non riscuote più particolare successo e non rappresenta una proposta in grado di accrescere significativamente il numero di associati.

Migliori sono invece le prospettive dell’esperto di marketing associativo: profilo incaricato di realizzare approfonditi audit dei fabbisogni dell’impresa e di predisporre un’offerta di servizi caratterizzata da un elevato livello di personalizzazione, completezza ed innovatività.

I casi di Associazioni pro-attive e di imprese intercettate tramite particolari strategie di marketing sono tuttavia ancora minoritari.

Prevalenti sono invece le situazioni in cui è il singolo imprenditore che spontaneamente si rivolge ad un’organizzazione di rappresentanza:

- lo start up. Ci si rivolge all’Associazione  per ottenere una serie di servizi necessari all’avvio dell’impresa, quali il supporto nell’iscrizione alle CCIAA, nella predisposizione di un business plan e soprattutto per ottenere consigli, orientamento e supporto. L’attività di formazione, per i comparti in cui è ancora necessaria, rappresenta spesso uno dei principali canali attraverso cui si entra in contatto con il mondo associativo.

- quando sorgono problemi. L’imprenditore si rivolge a un’Associazione   perché avverte il bisogno di un supporto. Tra i problemi più diffusi vi sono quelli relativi al credito, non soltanto per ottenere il finanziamento di investimenti che pure sarebbero auspicabili, quanto soprattutto per accedere alla liquidità necessaria al proseguimento dell’attività, alla ristrutturazione o al consolidamento di debiti precedentemente contratti, oppure alla riconferma di affidamenti già stanziati. Un secondo problema fa riferimento alle situazioni di indebitamento nei confronti dello Stato ed in particolare ai rapporti tra le imprese e le agenzie per la riscossione dei tributi. Gli imprenditori si rivolgono ad un’organizzazione di rappresentanza anche quando sorgono conflitti con gli enti locali su argomenti specifici. Numerose sono poi le aziende che si trovano a dover fronteggiare le difficoltà del mercato e talvolta chiedono all’Associazione  di categoria un’attività di accompagnamento e tutoraggio, cercando di capire come possano evolvere, come si possano trasformare

In tutte le circostanze appena citate, l’Associazione  è soggetto passivo d’una scelta dell’impresa, una scelta che non è determinata (se non in minima parte) né dalle politiche di marketing più o meno innovative, né dai vecchi schemi dell’appartenenza ideale o politica tipici d’un collateralismo di altri tempi. La scelta avviene piuttosto secondo due requisiti estremamente tradizionali, ma al tempo stesso laici e pragmatici: la comodità e la fiducia.

La comodità è determinata dalla capacità d’offrire un costante e capillare presidio del territorio, attraverso sedi e strutture di prossimità che – nonostante la diffusione di soluzioni informatiche – continuano ad essere ancora fortemente desiderate.

La fiducia, invece, si consolida per due vie:

1. la principale, per quanto poco moderna possa sembrare, è rappresentata dal classico passaparola. Sono innanzitutto gli associati consolidati che, esprimendo opinioni positive sull’Associazione , sulla qualità dei servizi che offre e sulla serietà del lavoro che svolge, portano nuovi associati;

2. inoltre, è determinante che l’Associazione  manifesti un interesse e un’attenzione costante verso il territorio, mostrando un protagonismo e una presenza attiva sui temi caldi della rappresentanza in ambito locale, sui grandi dibattiti relativi ai temi dello sviluppo e della vivibilità e sulle iniziative e progetti caratterizzati da una forte valenza sociale e collettiva.

 

Il cambiamento nell’offerta di servizi

 

L’offerta di servizi alle imprese è parte integrante della mission di un’Associazione   di categoria.

Elemento complementare rispetto alla tutela, la capacità di mettere a disposizione servizi adeguati – in grado di fornire una risposta concreta e immediata, fruibile e accessibile ai bisogni (non sempre espliciti) del mondo con cui ci si identifica e di cui si è portatori di interessi – determina, non in forma esclusiva ma sicuramente rilevante, la misura dell’appeal e del successo di un’Associazione  .

Parzialmente ridimensionatasi l’adesione per ragioni ideali o per spirito sindacale, a volte gli imprenditori sembrano aderire ad una determinata organizzazione per motivi prettamente utilitaristici, sulla base di un calcolo dei vantaggi che possono trarne in termini di prestazioni, a prescindere dal comparto in cui opera o dalla sua storia: gli imprenditori interessati in via prevalente all’offerta di servizi dell’Associazione   rappresentano oltre il 70 per cento del totale degli iscritti, e tale quota non appare destinata a calare,

Una simile situazione pone ovviamente una molteplicità di sfide e di interrogativi, che il sistema associativo è in grado di affrontare positivamente soltanto ove sostenuto da una visione chiara del proprio ruolo e ove disponibile a mettere in discussione i tradizionali assetti organizzativi.

Dato infatti che i bisogni delle imprese sono in continua evoluzione, analogamente le Associazioni di categoria devono essere reattive e rendere disponibili risposte e soluzioni nuove, adeguate alle mutevoli sollecitazioni che giungono loro: sollecitazioni divenute particolarmente intense negli anni più recenti a seguito delle difficili condizioni di contesto in cui le aziende (e le stesse Organizzazioni ) sono chiamate ad operare.

Partendo da una simile premessa, è tuttavia necessario considerare che la ridefinizione dei servizi associativi avviene tramite un processo tendenzialmente lento e complesso, il più delle volte adattativo, scaturito da interazioni costanti e quotidiane che nel lungo periodo producono un risposta del sistema associativo, sotto lo stimolo e sollecitazione delle imprese, determinato dalle evoluzioni del contesto in cui esse si trovano ad operare.

Il processo lento di adeguamento delle risposta al modificarsi dei bisogni nasce da due ordini di motivi:

- i bisogni delle imprese sono sfumati, spesso latenti e impliciti, e non è immediato riuscire a decifrarli, comprenderne la portata ed elaborare risposte conseguenti. Per quanto costante possa essere l’interazione tra le parti, per quanto attenta e avveduta possa essere la leadership organizzativa e qualificato il personale dell’Associazione  , per quanto bottom-up possa essere l’approccio attraverso il quale vengono captate le istanze delle imprese ed il processo decisionale che ne deriva, la proposta di soluzioni deve comunque fare i conti con tempi tecnici incomprimibili. Bisogna studiare e calibrare le differenti alternative, nonché dotarsi di competenze e professionalità non sempre disponibili presso la struttura (acquisendole dall’esterno o formandole al proprio interno).

- l’elevata differenziazione della base associativa concorre a complicare lo scenario. La segmentazione è plurima, sia dimensionale (si associano dalle micro-imprese e spesso perfino dalle partite iva fino a realtà con caratteristiche industriali o a grandi strutture commerciali o di servizio), sia di posizionamento (bisogna essere in grado di rispondere alle esigenze e alle sollecitazioni sia di aziende quasi marginali che dell’élite del sistema produttivo nazionale), sia settoriale6.

Tutte queste variabili si intrecciano tra loro secondo formule imprevedibili, che rendono estremamente difficile tracciare un’interpretazione univoca, che parta da un’omogeneità di vedute e di interessi tale da rendere agevole la costruzione di risposte, l’articolazione di visioni, la predisposizione di soluzioni; al tempo stesso, le Associazioni di categoria hanno progressivamente costituito apparati importanti, dotati di un organico numeroso e altamente qualificato che può raggiungere anche le 400 unità.

Un ulteriore problema in alcuni casi consiste nella distanza relativa che talvolta si può cogliere tra i gruppi dirigenti espressi dagli associati ed il management delle società di servizi, che possono quindi trovarsi ad operare al di fuori di qualsiasi forma di controllo strategico ed organizzativo, col rischio che si vengano a creare due gruppi dirigenti distinti e che il secondo (la “tecnocrazia”) finisca per prevalere sul primo (il tessuto della dirigenza interna).

 

 Il riposizionamento dei servizi tradizionali

 

Con riferimento all’offerta di servizi associativi, il primo e più importante fenomeno che si può cogliere consiste nella situazione di criticità in cui tutte le Associazioni si trovano (sia pure in misura molto diversificata, a seconda dei differenti contesti territoriali) con riferimento a quello che rappresenta uno delle attività centrali d’ogni Associazione : la gestione della contabilità e del personale.

Tali servizi, di cui la maggior parte delle Associazioni si è dotata nel corso degli anni ’80, sono oggi in sofferenza per una pluralità di concause:

- in primo luogo, per la crescente concorrenza da parte dei commercialisti e dei consulenti del lavoro, categorie che hanno conosciuto negli anni più recenti gli effetti di una intensa ipertrofia di operatori ed oggi tendono a proporsi, soprattutto i giovani, con prezzi tendenzialmente al ribasso;

- la demografia d’impresa, soprattutto in determinate aree geografiche ed in alcuni comparti, porta a una fisiologica contrazione del numero di imprese associate, nonché di potenziali fruitori dei servizi tradizionali;

- il processo d’informatizzazione riduce ormai in maniera considerevole l’impatto del fattore umano e porta quindi ad avere in alcune situazioni un personale eccessivo per il disbrigo di determinate funzioni;

- infine, la prolungata congiuntura negativa di cui soffrono le imprese si ripercuote inevitabilmente anche sulle prestazioni delle Associazioni di categoria, traducendosi (oltre che in una minore domanda ed in una minore movimentazione) soprattutto in un diffuso incremento delle situazioni d’insolvenza.

Nonostante tali attività si siano notevolmente ridimensionate (e frequenti siano anche i casi di Associazioni di categoria che si sono viste costrette ad intervenire sull’organico, chiedendo una riduzione d’orario o ricorrendo a diverse soluzioni di mobilità diverse), il loro ruolo rimane comunque importante.

Le difficoltà riscontrate sul cuore storico dei servizi associativi si sono in realtà tradotte in un’occasione preziosa per rimettere in discussione l’intero modello organizzativo delle strutture di servizio, procedendo in direzione d’un riposizionamento organizzativo e qualitativo:

- innanzitutto, è in atto una progressiva razionalizzazione delle attività (sia di quelle basic, che soprattutto di quelle più evolute), avviata sulla logica dell’interprovincialità e finalizzata a generare economie di scala e quindi efficienza, efficacia ed economicità, oltre al conseguimento d’una massa critica adeguata per sperimentare nuovi servizi e nuove modalità d’intervento;

- al tempo stesso, si può riscontrare una diffusa propensione ad erogare servizi innovativi, ampliando la gamma dell’offerta in direzione delle richieste più attuali e di quelle a maggior valore aggiunto provenienti dal mondo imprenditoriale.

La capacità di offrire una gamma globale e integrata di servizi rappresenta attualmente il principale elemento di competitività su cui le Organizzazioni  di categoria possono contare rispetto ai loro competitor.

 Chi vi si rivolge sa infatti di poter trovare, in un’unica sede, una risposta sempre più diversificata e qualificata, in grado di soddisfare (con un elevato livello di personalizzazione) tutte le esigenze che un’azienda potenzialmente potrebbe avere. La tendenza all’ampliamento della gamma di servizi è inoltre accompagnata da una sempre maggiore personalizzazione dell’offerta.

Un’ultima modalità di reazione alle difficoltà di cui le Associazioni soffrono a seguito della contrazione dei servizi tradizionali va invece nella direzione di un’estensione della base associativa, perseguita tramite politiche di marketing più o meno esplicite, più o meno aggressive, volte ad intercettare nuovi potenziali target, non necessariamente affini al profilo tipologico tradizionale rappresentato dall’Associazione .

Quest’ultima tendenza, progressivamente sempre più accentuata ma in atto ormai da quasi un decennio, sembra divenuta irreversibile, benché comporti una serie di problematiche: differenziando la base associativa bisogna dotarsi di un know how specialistico che in precedenza non era richiesto e ciò comporta un incremento dei costi (pena il rischio di un peggioramento qualitativo dell’offerta), d’altro canto, quando le imprese non tipiche che si associano “solo per usufruire di determinati servizi” cominciano a diventare numerose, chiedono che l’Associazione  offra loro anche rappresentanza e ciò rischia di alterare e rendere problematici gli equilibri tra Associazioni a livello territoriale.

La principale strategia di razionalizzazione adottata dalle Associazioni di categoria è rappresentata dalla tendenza verso una centralizzazione dei servizi, che può avvenire secondo tre logiche differenti:

- una concentrazione a livello regionale, in realtà poco diffusa e praticata soprattutto con riferimento a servizi che hanno un elevato grado di informatizzazione;

- l’accorpamento di differenti Associazioni provinciali in un’unica macroarea;

- l’istituzione di consorzi interprovinciali tra Associazioni autonome.

In ciascuno di questi casi, l’obiettivo di fondo è il medesimo: centralizzare la gestione dei servizi così da liberare risorse che, a seconda delle necessità, possono portare a un alleggerimento d’organico, a una riconversione verso servizi innovativi oppure ad integrare il personale destinato a temi politico sindacali.

Più rare sono le esperienze di razionalizzazione che perseguono una logica di superamento non dei confini provinciali, bensì di quelli associativi.

La situazione di criticità in cui si trovano alcune Associazioni in alcuni territori può far ipotizzare anche in altri contesti la riproposizione di analoghe soluzioni organizzative. Tuttavia, l’opinione dominante è sicuramente concorde nel ritenere impossibile – almeno nel medio periodo, specialmente per i servizi di base – la sperimentazione di tale modello su scala allargata.

I dirigenti territoriali sembrano piuttosto inclini verso il mantenimento di una logica di cooperazione nella competizione, pur consapevoli delle problematicità che talvolta un simile approccio può comportare.

Dove è invece possibile lavorare alla ricerca di sinergie e sperimentazioni di forme di coordinamento tra Associazioni è invece con riferimento ad alcuni servizi avanzati ad elevato valore aggiunto.

È il caso, innanzitutto, dei Consorzi Fidi, ma esperienze in tal senso (sia pur discontinue e difficilmente riconducibili a una precisa scelta strategica) sono già disponibili su numerosi progetti e iniziative sia di livello regionale che provinciale.

 

Credito e formazione, prima che sia troppo tardi

 

È nell’agevolare l’accesso al credito tramite misure di garanzia sui finanziamenti e nell’organizzare percorsi formativi che si concretizzano alcuni dei servizi più diffusi tra quelli erogati dalle Associazioni di categoria, solitamente tramite procedure piuttosto semplificate e caratterizzate da un elevato grado di affidabilità.

Il più delle volte, con riferimento a tali servizi, il ruolo della struttura è semplicemente quello di fungere da tramite tra l’impresa ed i Consorzi Fidi in un caso, gli enti bilaterali o le società di formazione nell’altro.

Si tratta di un atteggiamento motivato, indubbiamente, dalla poca propensione delle aziende a tramutare simili strumenti in leve strategiche per lo sviluppo dell’attività imprenditoriale.

La congiuntura attuale sembra richiedere, tuttavia, un ulteriore sforzo da parte delle Associazioni di rappresentanza. Partendo da quelli che sono alcuni dei bisogni fondamentali delle piccole aziende, vale a dire accompagnamento e tutoraggio da un lato, formazione (anche informale) e informazione dall’altro, i margini per assumere un ruolo attivo e aiutare le imprese a crescere e a maturare anche negli aspetti gestionali sono notevoli.

Una best practice che si inquadra nell’ottica di un rafforzamento dei servizi per migliorare le possibilità d’accesso al credito è sicuramente rappresentata dall’introduzione, presso alcune Associazioni, della figura del consulente del credito, il cui compito non si limita alla valutazione dei requisiti per accordare o meno una garanzia su un finanziamento, ma consiste nell’accompagnare l’azienda in un percorso di autoanalisi, attraverso il quale comprendere i propri limiti e le potenzialità su cui si può contare, nonché i rischi e le opportunità derivanti dall’ipotesi di un investimento. L’obiettivo è di fornire un check-up economico-finanziario completo e aggiornato sul livello di patrimonializzazione e sulla prospettiva dei rapporti con il mondo bancario, consentendo di correggere eventuali errori e prevenire alcuni rischi.

Con riferimento agli aspetti formativi, la sfida è trovare una formula che sia accessibile, qualificata e stimolante e che consenta di superare la tendenza a sottoporsi (malvolentieri) alla sola formazione obbligatoria, prevista per esempio dalle normative sulla sicurezza sul lavoro o sull’igiene alimentare.

 

Se i percorsi formativi mirano il più delle volte ad accrescere la professionalità di chi lavora o intende lavorare in un determinato comparto, diverse Associazioni aggiungono alla propria offerta anche alcuni momenti informativi destinati all’approfondimento delle dinamiche economiche e congiunturali, coniugando un’attenzione ai fenomeni che avvengono su scala locale con una riflessione sulle dinamiche globali e sulle prospettive ed opportunità di business.

 

I Consorzi Fidi, la sfida dell’autonomia nella finanza

 

A causa delle crescenti difficoltà nei rapporti tra il mondo della piccola impresa ed il sistema bancario, la concessione di garanzie da parte d’un Consorzio Fidi è divenuto uno dei più ambiti servizi che le Associazioni di categoria possano contribuire a fornire, tanto che, di fatto, non vi è quasi nessuna struttura di credito che conceda finanziamenti alle piccole imprese senza la co-partecipazione al rischio per una quota pari ad almeno il 30% da parte delle strutture consortili.

Per ogni Associazione  di categoria il tema del credito è, quindi, ormai determinante: se non si è in grado di presidiarlo con efficacia, si rischia di perdere immediatamente la relazione con le proprie imprese.

Una serie di circostanze, tuttavia, rende la situazione dei Confidi estremamente delicata e vulnerabile, lasciando ipotizzare una futura e profonda evoluzione del settore:

- il sistema bancario tende progressivamente a privilegiare rapporti in via esclusiva con i Confidi più grandi e strutturati, che rispettano requisiti patrimoniali e di volume d’attività finanziaria tali da essere obbligati a convertirsi in intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia (ex. art. 107). Oltre alla necessità di raggiungere tale dimensione procedendo a fusioni e aggregazioni, una simile tendenza implica un sensibile incremento dei costi;

- la crisi, soprattutto nel settore industriale, ha portato diversi Confidi ad essere sovraesposti e a non avere più i requisiti patrimoniali per potere operare. La possibilità di garantire nuovi finanziamenti è quindi subordinata al rientro di liquidità, ma cessare l’operatività significa, al tempo stesso, privarsi dei margini di guadagno che ne derivano e di conseguenza ciò comporta problemi per l’equilibrio dei bilanci;

- gli interventi di sostegno erogati dalle Regioni, che consentivano di concedere maggiori garanzie tramite il potenziamento del fondo rischi per i Confidi e l’abbattimento del conto interessi per le imprese, stanno progressivamente venendo a mancare a causa delle difficoltà finanziarie di tali enti.

È opinione condivisa che, senza una razionalizzazione ed un efficientamento del sistema, nell’arco di pochi anni alcuni Consorzi potrebbero trovarsi in difficoltà. Procedere a forme di aggregazione tra Consorzi, riequilibrando il rapporto tra capitale e sofferenze e raggiungendo una dimensione tale da essere considerati dal sistema bancario degli interlocutori autorevoli e affidabili, sembra essere quindi una priorità. Il raggiungimento di tale obiettivo richiede tuttavia la sperimentazione di soluzioni innovative e originali

Se da un lato superare il livello locale consente di allontanarsi positivamente da alcune pressioni, dall’altro rischia (ed in parte sicuramente è successo) di creare un filtro burocratico tra “l’impresa” e “la pratica” analogo a quello già in essere nel mondo bancario. Inoltre, è più limitata la possibilità di interlocuzione e di relazione costante con le banche del territorio (le Bcc, le Popolari, le banche locali) che attualmente sembrano essere quelle più inclini a concedere finanziamenti alla piccola impresa.

La disponibilità ad ipotizzare Consorzi Fidi regionali unitari è sicuramente una prospettiva che consentirebbe di acquisire efficienza e solidità senza perdere il contatto con il territorio. In altri contesti regionali si è mostrato un discreto interesse a ragionare in tale direzione, eventualmente mediante soluzioni “federali” che prevedano non la fusione, ma l’adesione da parte degli attuali Consorzi Fidi che manterrebbero però una propria autonomia.

 

Per comportarsi da grandi: i servizi avanzati

 

Vi è un filone di servizi – ancora minoritari, presenti soltanto presso le Organizzazioni  di punta del sistema della rappresentanza – che sta conoscendo una straordinaria vivacità e che simboleggia la nuova frontiera per il potenziamento dell’offerta associativa.

Si tratta dei servizi che servono a supportare ed accompagnare le aziende sui mercati: servizi avanzati, che solo raramente vengono esplicitamente richiesti dall’impresa, mentre il più delle volte necessitano di un intervento che potrebbe essere definito induttivo-educativo da parte dell’Associazione  , che assume così un inedito protagonismo nello stare a fianco delle piccole aziende, aiutandole a tracciare nuovi sentieri di sviluppo e ad apprendere nuovi modi di svolgere la propria attività.

Sono molteplici gli ambiti in cui si esplicita un simile impegno, dipendendo solo in parte dal comparto prevalente delle aziende associate. Ci soffermiamo sui principali:

 

L’internazionalizzazione

A fronte di una domanda nazionale stagnante ormai da troppo tempo, per le piccole aziende del settore manifatturiero, essere in grado di costruirsi una visibilità oltre confine è ormai una priorità. Per sostenerle, le Associazioni di categoria (oltre a impegnarsi nel promuovere eventi fieristici o nell’allestire spazi espositivi all’estero) dispongono in diversi Paesi di corrispondenti in grado di supportare aziende intenzionate a insediarvisi.

L’esigenza di presidiare i mercati esteri comincia però ad essere avvertita anche da altri comparti. È il caso, per esempio, delle imprese edili e delle attività commerciali.

Nei confronti delle prime, a fronte di un mercato delle costruzioni ormai fermo, le Associazioni di categoria si pongono come facilitatori per consentire di cogliere le opportunità che esistono anche in Paesi extra-europei, dove invece vi è un mercato in crescita e un settore pubblico che investe e che mostra una particolare attenzione verso le competenze e la qualità delle imprese italiane.

Le resistenze da parte delle piccole imprese sono comunque notevoli. In alcuni casi sono di tipo culturale (attribuibili al problema linguistico, alla volontà di continuare ad operare a livello locale, oppure al rifiuto di partecipare ad eventi in comune con i propri tradizionali competitor ), ma si aggiungono problemi di natura manageriale (per operare all’estero si richiedono competenze e capacità più specialistiche) o dimensionale (legate a investimenti e costi da sostenere).

 

L’innovazione

La seconda sfida è quella dell’innovazione. In tale direzione, le Associazioni di categoria sono chiamate a porsi come facilitatori tra il mondo della piccola impresa ed il sistema delle Università, dei centri di ricerca, delle strutture per il trasferimento tecnologico. Vi è un gap enorme che separa in particolare le piccole realtà produttive a conduzione familiare ed un mondo, quello della ricerca, che fino a un recente passato è sembrato troppo autoreferenziale o al limite disponibile a collaborare esclusivamente con grandi gruppi industriali. I segnali che giungono sono però incoraggianti e stanno portando alla sperimentazione di partnership o alla nascita di start up miste tra ricercatori e imprenditori.

La rete dei tecnopoli, in particolare, sta diventando (e può diventare in misura sempre maggiore) un interlocutore di rilievo per l’Associazionismo e per le piccole imprese.

Un secondo filone nell’ambito delle attività di ricerca e sviluppo è poi rappresentato dall’inserimento, nel portafoglio associativo, di servizi per la difesa della proprietà intellettuale e dei marchi, oppure di vere e proprie fasi della lavorazione di qualità .

 

Le reti d’impresa

Gli interventi per l’aggregazione di imprese e la creazione di reti rappresentano forse la sfida più complessa, oltre che sicuramente la più recente. Complessa perché si scontra con una serie di fattori che ne limitano lo sviluppo, tra i quali il più significativo è senza dubbio rappresentato dalla diffidenza del piccolo imprenditore a lavorare con altri e a cedere quote della propria sovranità. Recente perché i contratti di rete sono stati introdotti per via legislativa nel 2009 e da poco le Associazioni di categoria sono divenute soggetti asseveratori.

Le reti di imprese potranno servire, ovviamente, a generare economie di scala condividendo determinati costi o partecipando congiuntamente ad eventi.

L’ambizione delle Associazioni di categoria è tuttavia quella di andare oltre, rispetto a tale obiettivo basilare, aiutando le imprese a cercare complementarietà produttive sia in senso verticale (razionalizzazione di filiera) che in senso orizzontale, per esempio tra imprese finora attive soltanto nella subfornitura e che potrebbero, grazie alla rete, arrivare a offrire autonomamente dei prodotti innovativi.

 

Il geomarketing

Il geomarketing è invece un servizio estremamente interessante messo a disposizione dalle Associazioni di categoria del commercio e destinato principalmente alle aziende che intendono avviare un nuovo punto vendita.

L’Associazione  fornisce loro un’analisi che permette di stimare il bacino potenziale di clientela, sia residenziale che gravitazionale, e di identificare la presenza di eventuali concorrenti.

 

La composizione dell’identità associativa

 

È opportuno soffermarsi sulla questione dell’identità che oggi contraddistingue il sistema della rappresentanza.

 

L’identità territoriale

 

Il livello prevalente intorno al quale si forma l’identità delle Associazioni di categoria è quello provinciale. Sono le federazioni provinciali ad avere l’esclusiva nei rapporti con le imprese, a maturare una conoscenza specifica e puntuale delle realtà territoriali e soprattutto è sul livello provinciale che si incentrano le risorse economiche (provenienti dalle quote tessere e dai servizi erogati), così come le competenze e le capacità organizzative.

In alcuni casi le province del sistema associativo non sono la fedele riproposizione di quelle amministrative, ma possono identificarsi con una porzione di territorio caratterizzata da un elevato grado di omogeneità economica oppure nascere da un processo di fusioni che porta alla creazione di macro-aree interprovinciali.

 

L’identità di comparto o settoriale

 

Sotto il profilo dell’identità settoriale nell’ultimo decennio si è aperta una profonda frattura rispetto agli schemi del passato, dovuta essenzialmente al fatto che non vi è ormai più alcuna delle Organizzazioni  tradizionali del commercio o dell’artigianato che associ esclusivamente commercianti o artigiani.

La progressiva compenetrazione tra comparti d’attività economica porta i confini classici ad essere decisamente più sfumati e tale tendenza si è andata progressivamente affermando con intensità sempre maggiore. Adesso le Associazioni di categoria offrono servizi specifici non soltanto rispetto ai tradizionali comparti, ma anche verso i lavoratori autonomi, la piccola industria, il terziario avanzato, con adesioni che cominciano ad essere piuttosto significative.

L’intenzione evidente della maggior parte delle Associazioni di categoria è di porsi come rappresentanti dell’impresa, un’idea progressivamente recepita dai rispettivi statuti e che comincia a ripercuotersi anche sulla scelta degli organismi dirigenti.

I nuovi associati legati a comparti “non tradizionali” entrano in contatto con le Organizzazioni  per via dei servizi che ricevono e solo occasionalmente iniziano a chiedere un’azione di tutela.

 

L’identità dimensionale

 

Sul tema dell’identità dimensionale, tra i dirigenti territoriali intervistati sembrano coesistere due interpretazioni prevalenti.

L’idea maggioritaria è che le Associazioni rappresentino il mondo della micro, piccola e media impresa, i cui interessi, spesso legati a un’organizzazione di tipo familiare, sono percepiti come diversi e in alcuni casi anche contrapposti rispetto a quelli delle grandi aziende.

Su posizioni differenti si attestano, invece, alcuni dirigenti, che sottolineano come sia prevalente l’identità settoriale rispetto a quella dimensionale e dunque sono convinti che gli interessi delle imprese siano in parte avulsi dalle dimensioni che le caratterizzano. Ne consegue che è possibile operare in affiancamento a tutte le tipologie di impresa di un settore, sulle specifiche esigenze trasversali.

 

L’identità valoriale

 

Venute meno le contrapposizioni ideologiche e politiche del passato, i valori restano comunque un elemento unificante. Sono valori imprescindibili per chi lavora a fianco e al servizio delle imprese. Sono i valori dell’impegno e della responsabilità, delle libertà individuali e del successo personale, che si coniugano con progetti di sviluppo e di benessere per la società e le collettività, sono i valori della competenza e della professionalità, della fiducia e dell’ascolto, della trasparenza e dell’etica, nonché dell’orgoglio di condividere un percorso comune.

L’enfasi sui valori è fondamentale per l’azione associativa, per tenere unite strutture di dimensioni considerevoli che si trovano ad operare in un costante equilibrio tra logiche di (quasi) mercato e funzione d’interesse generale, che trova la sua ragion d’essere nel senso d’appartenenza ad un mondo fortemente caratterizzato dal punto di vista socio-professionale: un mondo cui non si offrono solo consulenza e prodotti, ma anche rappresentanza e sostegno.

 

L’identità di brand del sistema associativo

 

Il senso di appartenenza ad un’Associazione   passa anche attraverso un’identificazione forte con il suo marchio, che nell’immaginario dell’imprenditore (e dei dirigenti) rimanda alle prese di posizione che la caratterizzano sui temi della rappresentanza, alle battaglie e alle rivendicazioni portate avanti a livello locale, oltre che a una presenza ed un’azione costante nella vita della comunità.

Sulla base di tali elementi, è naturale che i dirigenti – specialmente nei contesti in cui la propria Associazione  è molto strutturata e radicata – abbiano la tendenza a proteggere il brand di sistema.

Le evoluzioni recenti, tuttavia, stanno progressivamente portando a modificare un simile atteggiamento. Ciò avviene soprattutto in due casi:

- nelle politiche di differenziazione del marchio talvolta perseguite dalle società strumentali, quando si intende porre enfasi sulla componente di servizio più che sull’appartenenza ad un determinato sistema associativo;

- quando è marcata la propensione a superare i confini tradizionali, per offrire una rappresentanza trasversale al sistema della piccola impresa.

 

L’identità di funzione

 

Un ultimo attributo d’identità su cui è opportuno soffermarsi è legato al ruolo e alla funzione svolta dalle Associazioni di categoria. In questo senso si può cogliere una linea di demarcazione netta lungo l’asse Nord-Sud, attribuibile alla dimensione e alla vitalità delle imprese e delle stesse Associazioni nei differenti contesti territoriali del Paese.

Dove vi è un tessuto produttivo ricco e dinamico, l’Associazione  è costantemente sollecitata a un interventismo diretto nell’attività delle imprese e la funzione prevalente diventa quella di fare rappresentanza d’impresa attraverso i servizi.

Dove il sistema imprenditoriale è più debole (in particolare nel Meridione) anche le strutture associative sono solitamente di dimensioni più ridotte, non sempre attrezzate per offrire direttamente una gamma complessa e articolata di servizi e svolgono in prevalenza una funzione di segretariato sociale, come facilitatore tra i bisogni delle imprese e le possibili soluzioni.

La combinazione tra le variabili presentate consente di delineare i principali assi d’aggregazione del sistema associativo:

-           lungo l’asse verticale le Associazioni si distribuiscono sulla base d’una tendenza a privilegiare un approccio di spersonalizzazione del brand di sistema; dall’altro lato, si osserva un approccio alla specializzazione legata alla difesa del brand storico;

-           lungo l’asse orizzontale, invece, la distribuzione delle Associazioni va dalla funzione di segretariato sociale a quella di servizi innovativi offerti alle imprese.

La natura dell’analisi, ovviamente, non consente di posizionare in maniera “scientifica” e oggettiva le singole Associazioni territoriali in funzione dei due assi appena citati. La distribuzione presentata è pertanto meramente esemplificativa ed elaborata sulla base d’una interpretazione qualitativa degli spunti emersi durante gli incontri e dell’osservazione diretta delle differenti web page delle Associazioni, dalle quali è stato possibile verificare l’offerta completa e le scelte comunicative adottate.

 

Le radici della rappresentanza che verrà

 

In un frangente nel quale i bisogni delle micro, delle piccole e delle medie aziende si moltiplicano nelle forme e nei modi che sono stati esaminati, è più che mai importante che il tessuto produttivo italiano, così diffuso e frammentato, possa contare su un partner associativo solido e strutturato che lo accompagni e lo assista. Un partner che abbia la capacità di comprenderne le esigenze, di interpretarle e di offrire risposte e soluzioni adeguate:

-           da un lato, attraverso la tutela degli interessi imprenditoriali nei confronti dei diversi interlocutori, siano essi le istituzioni politiche centrali o periferiche, le controparti sindacali o determinati soggetti la cui azione incide in profondità sull’attività d’impresa (grandi aziende pubbliche o private, sistema bancario, università e centri di ricerca, etc.);

-           dall’altro lato, attraverso un’offerta di servizi costantemente aggiornata e calibrata per consentire alla piccola impresa non soltanto di funzionare correttamente, ma soprattutto di essere più efficiente e competitiva.

L’equilibrio tra queste funzioni complementari è delicato e le Associazioni prestano una costante attenzione affinché i servizi offerti continuino ad essere non un fine in sé, ma uno strumento per il raggiungimento degli obiettivi e delle finalità associative.

Mantenere fede a tale impegno è tuttavia sempre più complesso, soprattutto per il mutato contesto nel quale i corpi intermedi si trovano ad operare: un contesto in cui le aspettative degli associati si moltiplicano parallelamente al crescere delle difficoltà e dei conflitti, mentre le reali possibilità di incidere sui processi decisionali a volte sembrano assottigliarsi.

La stagione del vigore e del protagonismo imprenditoriale apertasi negli anni ‘90, quando le parti sociali si sono trovate improvvisamente a svolgere un ruolo di supplenza d’un sistema politico la cui centralità (culturale, valoriale e organizzativa) era venuta a mancare, sembra essersi involuta con l’avvento della crisi, che ha sancito una tendenza in atto già da alcuni anni. Si è verificato un radicale mutamento nei rapporti di forza, nella disponibilità di risorse e nelle procedure della concertazione, in una dinamica che ha subito un’ulteriore accelerazione nel corso del 2011 e del 2012.

Cambia, improvvisamente, l’oggetto della trattativa. Non si discute più di quali siano le migliori politiche per favorire la crescita e la coesione sociale, né di competere per un’ottimale allocazione di risorse sempre più ridotte, bensì di quali siano le soluzioni (urgenti) per evitare il peggio e risanare l’equilibrio finanziario del Paese.

La crisi economica e soprattutto quella finanziaria hanno quindi portato sia ad una ridefinizione del ruolo dei soggetti intermedi nell’arena della concertazione, sia ad un contingentamento dei margini e dei tempi di trattativa. Fare rappresentanza diventa più difficile. Le Associazioni sono chiamate ad affrontare una sfida decisamente complessa: devono essere in grado di coniugare positivamente richieste settoriali di tutela e capacità di giocare un ruolo nell’interesse generale del Paese, a sostegno dell’economia e a beneficio di tutti (quindi anche delle imprese), senza scadere in una pletora di richieste corporative.

Tale cambiamento si ripercuote inevitabilmente sui rapporti tra Associazione  e iscritti, laddove questi ultimi – in particolare nelle fasce marginali ed in maggiori difficoltà, ma anche tra le generazioni più giovani – mostrano (a giudizio di gran parte dei dirigenti intervistati) qualche insofferenza verso il mutato scenario, che in taluni casi lascia intravedere il rischio di un’autentica crisi della rappresentanza.

Una crisi della rappresentanza che si alimenta sia di messaggi semplificati, incompatibili con la complessa opera di mediazione e contrattazione svolta dalle Associazioni, sia di un assetto del sistema politico in cui i rapporti fra “elettori” ed “eletti” sono sempre più diretti e a volte tendono a bypassare ogni mediazione di un corpo intermedio.

Il giudizio quasi unanime che viene intercettato a livello territoriale è che il superamento delle attuali difficoltà di rappresentanza del mondo della piccola e media impresa possa avvenire soltanto attraverso un ulteriore passo in direzione d’una riduzione delle attuali frammentazioni e divisioni tra Associazioni.

In tal senso, un notevole impulso a livello nazionale è rappresentato dall’esperienza di R.ETE. Imprese Italia.

Le declinazioni della rappresentanza a livello locale sono invece molto più complesse e delicate e l’approccio prevalente è quello di procedere “senza sosta, ma senza fretta” verso l’obiettivo d’una maggiore collaborazione, tenendo però in considerazione le geometrie variabili e le specificità che contraddistinguono ciascun territorio.

 

Dove si può sperimentare: il livello regionale

 

Oltre alla dimensione nazionale, il livello ottimale intorno al quale sarebbe oggi possibile procedere nella sperimentazione di forme nuove e originali di rappresentanza degli interessi imprenditoriali potrebbe essere quello regionale.

Su tale dimensione intermedia tra il nazionale e le molteplici declinazioni che l’Associazionismo assume in ambito territoriale convergono, infatti, una pluralità di condizioni favorevoli, riconducibili in primo luogo alla crescente importanza (programmatica e finanziaria) delle Regioni nell’attuale assetto istituzionale dello Stato e ad una contestuale attenzione che ancora caratterizza le politiche e l’azione delle Organizzazioni  di categoria verso il presidio di tale livello.

Con la riforma del Titolo V della Costituzione, le Regioni italiane hanno assunto un ruolo fondamentale nella gerarchia dei livelli di governo dello Stato, anche con riferimento a materie che hanno un’incidenza diretta sulle attività imprenditoriali.

In primo luogo, ogni Regione è ormai incaricata di redigere un proprio piano di sviluppo, che ne determina obiettivi e priorità, strategie e conseguente allocazione delle risorse.

All’interlocutore regionale, inoltre, compete in larga misura la disciplina di ambiti e mercati prioritari, quali ad esempio il terziario e l’artigianato, il commercio e le politiche per il welfare (soprattutto in ambito sanitario, ma anche per quanto riguarda alcuni rilevanti aspetti assistenziali e previdenziali), nonché la materia infrastrutturale e trasportistica, la pianificazione energetica e le stesse relazioni industriali, che da tempo mettono in discussione ruolo e primato della contrattazione nazionale rispetto alla contrattazione decentrata.

Attraverso le regioni sembrano inoltre destinate a transitare in misura sempre maggiore risorse strategiche quali quelle destinate all’innovazione e all’internazionalizzazione delle imprese, avvicinandosi così ai territori e alle specificità produttive. In tal senso, le Associazioni di categoria saranno chiamate a intensificare il loro ruolo di raccordo tra il mondo delle imprese e gli strumenti di facilitazione che si renderanno disponibili.

Riuscire a intervenire sui piani di sviluppo regionale è di fondamentale importanza per tutti i dirigenti territoriali incontrati, al Nord come al Sud.

Nel Meridione, però, il contributo in termini di competenze e consapevolezza che può provenire dalla rappresentanza del tessuto produttivo assume una dimensione particolarmente delicata. In tali regioni si può, infatti, cogliere una sintonia generale nel lamentare l’assenza di visione e di proposte per lo sviluppo da parte degli organi di governo del territorio, che porta a disperdere e male allocare le risorse che pure sarebbero disponibili.

Un secondo elemento positivo che si può riscontrare a livello regionale in diverse aree del Paese è rappresentato dalla diffusa e consolidata esperienza di collaborazione tra Associazioni.

Se le esperienze di collaborazione spontanea a livello regionale cominciano a consolidarsi, tuttavia le Associazioni di categoria non sembrano ancora strutturate in maniera adeguata per presidiare tale livello. Le Organizzazioni  di rappresentanza sono radicate essenzialmente su due piani, il provinciale e il nazionale, e salvo significative eccezioni, nei presidi regionali non si concentrano mai forti livelli di gestione e di organizzazione delle attività, che transitano invece sempre per scelte effettuate dai livelli provinciali.

Anche se gli statuti danno la possibilità di devolvere compiti al livello regionale, questo accade raramente, essenzialmente perché il rapporto con le imprese, la conoscenza specifica e puntuale del territorio, sono dentro il livello provinciale, come nel provinciale si concentrano le risorse economiche (derivanti da quote tessere e da servizi), le competenze e le soluzioni organizzative.

In ogni caso, i tre fattori che sono stati presentati, ossia crescente centralità e protagonismo politico dell’interlocutore regionale, limitata capacità di presidio del livello regionale da parte delle singole Associazioni di categoria e precedenti, positive esperienze di collaborazione (formale e informale) tra Associazioni sono fattori che inducono a ritenere possibile un impegno volto al superamento della frammentazione.

Tuttavia, tra i dirigenti intervistati prevale l’opinione secondo la quale un simile risultato può essere colto soltanto per mezzo d’un approccio top-down, conseguenza d’una scelta politica forte che dia corso a un progetto comune. Non si può fare invece affidamento sullo spontaneismo bottom-up, perché senza una azione costante e convinta per “limare gli spigoli” si rischia che continuino a prevalere le paure, gli interessi particolari, le diffidenze e le difficoltà spesso presenti nella rappresentanza a livello locale.

 

L’ancoraggio alla dimensione locale

 

In termini di capacità di mobilitazione, di attenzione e di progettualità, è sempre più spesso sui temi locali e trasversali – in particolare sulle questioni relative al ruolo delle città e alle loro trasformazioni – che la rappresentanza imprenditoriale riesce a incidere e ad esprimersi al meglio.

Tuttavia, anche in tale ambito l’efficacia dei meccanismi di concertazione non è acquisita, soprattutto a causa dell’evoluzione connessa al ruolo istituzionale del Sindaco, il cui rapporto diretto con gli elettori, in alcuni casi porta a una presunzione di autosufficienza degli apparati amministrativi rispetto ai corpi intermedi.

Di conseguenza, il livello dell’interlocuzione politica su scala locale sembra influenzato dal carattere e dall’approccio personale delle singole controparti (con sindaci che fanno della fine delle ritualità legate alla negoziazione e del decisionismo uno stile di governo ed altri che invece mantengono una costruttiva propensione al confronto), ma in generale da parte dei nuovi amministratori si coglie una diffusa insofferenza verso le pratiche concertative. In tali casi, i margini di trattativa sono sempre più risicati: il Comune tende ad assumere autonomamente le decisioni più significative e solo successivamente interloquisce con quei soggetti che sono in grado di contrastarlo o di porgli dei problemi.

Nella qualificazione dei rapporti che legano le Associazioni di rappresentanza datoriale ai rispettivi contesti locali conta moltissimo non solo la apertura al confronto degli Enti Locali, ma anche la tipologia prevalente di relazioni associative. Sul piano territoriale il sistema associativo delle piccole imprese si presenta generalmente con le seguenti configurazioni:

- il più diffuso sembra il modello duale, in cui sono due le Organizzazioni ad avere una stessa forza di leadership nei confronti delle piccole imprese e solitamente appartengono all’artigianato e al terziario;

- il modello della competitività si ha invece quando fra due Organizzazioni pivot, espressione di macrocomparto, si sviluppa una forte concorrenza;

- in taluni casi, invece, solo un’unica organizzazione di categoria ha un ruolo egemone nella realtà locale, rappresentando un punto di riferimento per l’intera collettività delle imprese;

- vi sono, infine, territori in cui c’è una generale debolezza del sistema associativo.

Appare evidente che nei casi in cui il modello caratterizzante è di tipo duale, le Organizzazioni  prevalenti assumono un autonomo e rilevante potere di influenza sulla vita civile e politica del territorio, fungendo da interlocutori forti per ogni amministrazione. In simili circostanze, tende a mancare l’interesse di dare visibilità e rappresentanza ad Associazioni di categoria che nella specifica realtà hanno un peso minore.

Quando prevale il modello della competitività, invece, la situazione si complica e ci si orienta verso strategie di alleanza molto diversificate, cercando e spesso trovando sponde anche al di fuori del tradizionale mondo delle piccole: talvolta in altre Organizzazioni  datoriali, talvolta in Associazioni di rilievo locale.

In una situazione di debolezza diffusa, invece, è più probabile che prevalga la tendenza a co



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