Una costellazione di imprese artigiane

Notizie Live

Documenti

L' impresa diffusa è provata ma resiste

Studi e Ricerche

La Fondazione R.ETE. Imprese Italia ha recentemente reso pubblica un’indagine che analizza l’impatto della crisi sulle decisioni e sugli atteggiamenti che le PMI adottano e ritengono di dover adottare nel prossimo futuro.

Uno dei principali dati che emergono dall’indagine della Fondazione R.E TE. Imprese Italia realizzata su un campione di 2.500 imprese fino a 49 addetti, è la tenacia delle piccole imprese nel resistere alla lunga congiuntura negativa.

Si tratta di imprenditori che hanno speso l’intera vita nella costruzione e nello sviluppo del loro attuale lavoro d’impresa e non ci stanno a vederlo sparire.

Ciò si tramuta in una risposta alla crisi che, certamente difensiva nei confronti dei risultati raggiunti, non manca di denotare  una reazione vitale anziché una acquiescenza passiva e statica. Il 69,9% degli intervistati dichiara, infatti, che nei prossimi dodici mesi difenderà ad ogni costo ciò che ha costruito.

A motivare gli imprenditori sono, in primo luogo, la piena coscienza del proprio ruolo (ben il 66% dei rispondenti ritiene infatti che ancora oggi le piccole imprese siano determinanti nello sviluppo del Paese) e la soddisfazione rispetto alla scelta di vita compiuta (l’83,5% degli imprenditori, nonostante le difficoltà, si dichiara ancora pienamente convinto della propria scelta professionale).

La difesa del valore aziendale passa anche attraverso la salvaguardia del capitale umano, che è il vero e proprio patrimonio dell’impresa diffusa. Seppure in un contesto sfavorevole, le piccole imprese continuano a riconoscere il valore strategico delle professionalità maturate in azienda: è circa il 39% degli imprenditori a dichiarare di non avere finora avuto alcun problema occupazionale, mentre tra quanti scontano tale difficoltà (oltre il 60% del totale), più della metà (33,9%) ha deciso di tenere duro, mantenendo per intero l’organico.

Allargare il proprio raggio d’azione rappresenta la strategia più diffusa per affrontare la crisi.

Sebbene, infatti, l’orientamento prevalente sia quello di cercare di occupare maggiori spazi nei mercati di prossimità (55,9%), ben il 37,8% delle imprese ha un’operatività che va oltre la dimensione locale e si misura su un livello, nazionale mentre il 19,3% lo fa anche con l’estero.

Una buona parte dei soggetti intervistati risponde quindi con dinamismo alle spinte contrarie degli ultimi anni testimonia di un atteggiamento poco incline all’evocato “fatalismo del declino”e colpisce il divario schiacciante tra il 3,5% di loro che pensa di ritirarsi ed il 36,4%, nonostante la crisi, ha investito in innovazione adottando strategie complesse e diversificate: il 19,8% ha introdotto innovazioni di prodotto o servizio, il 18,6% ha acquistato nuove attrezzature di lavoro, il 17,4% ha innovato i processi, l’11% ha puntato sulla riorganizzazione aziendale, mentre il 10,8% ha modificato i rapporti con i clienti e la rete distributiva.

 

Sebbene dunque i piccoli imprenditori mostrino determinazione nel fronteggiare le asperità dell’odierna congiuntura, spiragli di incertezza si rilevano in merito ai problemi legati alla vita dopo il lavoro: il 33,4% degli intervistati ritiene che il passaggio sarà abbastanza problematico mentre il 22,6% sostiene che, nonostante i contributi versati, sarà impossibile beneficiare d’una pensione adeguata. Non stupisce, pertanto, che ben il 56,3% sia convinto che l’unica soluzione che potrà garantire loro di godere una vecchiaia serena consiste nel continuare a lavorare.

Il mondo dell’impresa diffusa ha le idee ben chiare sul fatto che il tema del fisco rappresenti una leva strategica in grado di liberare l’energia e vitalità ad oggi imbrigliate: sulla necessità di un sistema fiscale meno impedente concorda, infatti, il 77,2% degli imprenditori, anche se il rapporto fisco-imprese va ben oltre la lamentela sul peso eccessivo della tassazione e coinvolge altri ambiti come quello della semplificazione e della certezza normativa.

I micro e piccoli imprenditori, d’altra parte, credono ancora nelle istituzioni, ma un po’ meno nella politica, anzi nella possibilità che dalla definizione del futuro quadro politico possa scaturire una soluzione per la crisi. Gli imprenditori intervistati,infatti, manifestano sfiducia circa la capacità della politica di indicare percorsi di uscita dalla crisi e riconducono in larga parte (47,9%) il perdurare del disagio economico e sociale proprio alla mancanza di soggetti politici in grado di trovare soluzioni efficaci.

Essi prendono poi sempre più coscienza dell’interdipendenza che lega il nostro Paese alle altre aree economiche e sono altrettanto consapevoli che pure il quadro di governo interno dipenda sempre più da logiche e da assetti di politica internazionale (35,1%), oggi addirittura più pressanti degli interessi speculativi dei mercati finanziari a lungo stigmatizzati (10,7%).

 

I piccoli imprenditori dimostrano, insomma, di essere portatori di una capacità significativa di mettersi sotto sforzo, specie in tempi difficili: essi continuano a contare in primo luogo su se stessi, ma dispongono anche di un tessuto di rappresentanza che si sta mettendo in gioco e che, cosa ancor più importante, sta condividendo con essi la sfida di affrontare con una forza rinnovata le incognite e le opportunità del futuro. È un mutamento certamente non uniforme, ma comune, la cui esigenza è sentita su tutto il territorio nazionale.

Nel variegato mondo dell’impresa diffusa,la tanto evocata cultura di mercato è dunque tutt’altro che assente, e molteplici sono le energie che, senza aspettare input dall’esterno, sono già convogliate verso discontinuità in grado di produrre sviluppo.

Al tempo stesso, i piccoli imprenditori sanno che ciò potrebbe non bastare se non sarà seguito dal rafforzamento dei soggetti produttivi efficienti e da una rinnovata e più snella cultura di regolazione pubblica. Nel nostro paese, infatti, senza l’adozione di politiche coraggiose e di impegni finanziari dedicati alla crescita, i sacrifici degli imprenditori “resistenti” potrebbero non andare a buon fine. Ancora una volta torna in evidenza il vuoto di prospettiva legata a fattori esogeni, che rischia di allontanare una risorsa produttiva di alto potenziale -quale è l’imprenditoria diffusa- dall’interesse per processi di decision making poco incisivi e lontani dall’interesse dell’economia reale.

Per il Presidente della Fondazione R.E TE. Imprese Italia Giuseppe De Rita la ricerca «mette in risalto i due elementi polari che attualmente contraddistinguono le piccole imprese: da un lato la loro sfiducia nella politica e, dall’altro lato, la loro convinzione di difendere e di attrezzare le imprese nei confronti dei rischi di ridimensionamento e di chiusura dovuti alla crisi. Alla politica nazionale rimane il compito di farsi carico e di valorizzare il patrimonio sociale e produttivo delle imprese che vogliono non solo resistere al disagio ma anche riprendere a crescere, in termini di competenze e di capacità produttiva».

Dall’indagine inoltre emerge che per fare il mercato ci vuole il mercato: soggetti di offerta, soggetti di domanda e regole.  Il mondo delle  PMI e dell’impresa diffusa garantisce per la prima variabile, male altre due sono a rischio. La discontinuità interna al mondo delle PMI, infatti, da sola non produce crescita:servono visioni, politiche coerenti e sostegno reale alla domanda interna.

Per gli imprenditori italiani la politica non riesce ad indicare percorsi di uscita dalla crisi e la  burocrazia ancora frena le riforme avviate. Resta il loro orgoglio, che la crisi non ha spento e la loro voglia di mettersi ancora in gioco per non sbriciolare se stessi e il Paese.

Alla politica nazionale rimane il compito di farsi carico e di valorizzare (con interventi destinati a rafforzare i settori a scommessa di dinamismo, e i processi necessari a renderli tali) il patrimonio  sociale e produttivo delle PMI che vogliono non solo “resistere” alla crisi ma anche riprendere a crescere, in termini di competenze e di capacità produttiva.

La rilevazione di campo, condotta con il metodo CATI, è stata realizzata da Format Srl nella settimana dal 24 al 28 settembre 2012. Il campione di 2500 imprese è rappresentativo dell’universo delle imprese italiane da 1 a 49 addetti (domini di studio del campione: Area geografica, Settore di attività, Dimensione in termini di addetti).



Indietro