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Il contributo del FSE 2007 - 2013 alla costruzione dei sistemi regionali di innovazione

Studi e Ricerche

Introduzione

 

Il lavoro si inserisce all’interno di una riflessione articolata e strutturata nell’ambito del progetto ISFOL Supporto alla governance e alla valutazione delle politiche finanziate dal Fondo sociale europeo (FSE) sulle dimensioni di policy che avranno una particolare centralità e rilevanza nella programmazione 2014-2020. La ricerca prende avvio nel 2012 dall’esigenza di focalizzare e di mettere a punto percorsi e metodologie di osservazione e valutazione idonei.

Il progetto è articolato su più filoni aventi il comune denominatore di consolidare, sia dal punto di vista metodologico che tematico, lavori e ricerche intorno alla valutazione delle politiche per le risorse umane, testando e sperimentando nuove metodologie valutative e avendo a riferimento la dimensione territoriale delle politiche di coesione e la (ormai ampiamente richiamata) dimensione place based.

Il concetto di politica rivolta ai luoghi si è sviluppato attraverso riflessioni, iniziative e pubblicazioni nel settore delle politiche di coesione, sulla spinta delle ampie differenze regionali dovute a disparità di tipo economico e sociale tra i diversi territori europei, differenze che hanno suggerito di considerare con maggiore attenzione la necessità di predisporre «una strategia a lungo termine finalizzata ad affrontare la sottoutilizzazione di risorse e a ridurre la persistente esclusione sociale in luoghi specifici attraverso interventi esogeni e una governance multilivello» (Barca, 2009). Una politica place based prevede, infatti, la distribuzione della responsabilità dell’attuazione tra i diversi livelli di amministrazione e le istituzioni locali (associazioni private, organismi locali di controllo in partecipazione, cooperazione transfrontaliera, partenariati pubblico-privato ecc.), in quanto ritiene questo tipo di articolazione quella maggiormente in grado di valorizzare le conoscenze, le preferenze e i bisogni delle persone che vivono e operano in luoghi specifici, favorendo così una maggiore integrazione territoriale e quindi un valore aggiunto dell’azione pubblica.

Un’altra dimensione rilevante affrontata nell’ambito del progetto è quella dell’integrazione delle politiche. Il tema generale dell’integrazione tra le politiche di sviluppo ha una sua rilevanza poiché all’integrazione tra interventi di diversa natura viene normalmente associata la produzione di effetti sinergici. L’idea è che l’integrazione (arte di identificare e realizzare complementarietà) produca un effetto complessivo maggiore della somma degli effetti prodotti dai singoli interventi. Il Quadro strategico nazionale (QSN), che rappresenta il documento-quadro di programmazione delle politiche di coesione in Italia, ha promosso a partire dal 2007 un approccio integrato che si fonda proprio sul principio di unitarietà della programmazione delle politiche ordinarie con quelle aggiuntive, nonché sull’integrazione tra politiche di sviluppo territoriale e politiche per il capitale umano.

La creazione di conoscenza condivisa sulle esperienze realizzate nell’attuale programmazione 2007-2013, che sta volgendo verso la fase conclusiva, e sul loro funzionamento, risulta rilevante per le strategie future nell’ambito della nuova programmazione di FSE e in vista del raggiungimento degli obiettivi di Europa 2020. La valutazione delle politiche di coesione è certamente uno degli strumenti più potenti per condividere tale conoscenza. I risultati delle valutazioni rappresentano, infatti, un valido supporto per il policy making, sia in termini di conoscenza di quanto si sta realizzando, sia per la definizione dei nuovi programmi operativi. Il punto di osservazione nazionale, pur nel rispetto delle dimensioni regionali sulle quali si sviluppano e articolano le politiche di coesione, permette di mantenere un presidio attivo sui temi cruciali dello sviluppo.

Le politiche per l’innovazione, oggetto del presente rapporto, rappresentano un terreno di specifico interesse per più ragioni. Innanzitutto è una delle policy prevalenti di integrazione tra politiche per il capitale umano e politiche di sviluppo. Questo ultimo aspetto è particolarmente rilevante per il tema in questione, poiché è nelle politiche a sostegno dell’innovazione che l’integrazione tra Fondi può esprimere i suoi maggiori positivi effetti (Ciampi et al., 2012). Si pensi ad esempio alla forte relazione che vi è tra gli investimenti in ricerca e sviluppo/innovazione e quelli sulle risorse umane altamente qualificate. Più in generale il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il FSE intervengono nell’ambito di una strategia complessiva di sostegno all’innovazione e di collegamento tra università, centri di ricerca e impresa con una gamma di azioni destinate a sviluppare sia la formazione di capitale umano d’eccellenza, l’attrazione di cervelli e il miglioramento della programmazione delle attività formative in relazione ai fabbisogni, sia le attività di ricerca (produzione di brevetti industriali) e il trasferimento tecnologico.

In secondo luogo è una delle policy che la Commissione europea indica come prioritaria e uno degli ambiti su cui l’Italia dovrebbe concentrare un importante impegno finanziario della prossima programmazione dei Fondi strutturali. Come è stato argomentato più nel dettaglio nel volume, è verosimile attendersi un impegno finanziario dei Fondi strutturali per il periodo 2014-2020 decisamente più incentrato sull’innovazione rispetto a quanto si è registrato nelle due programmazioni precedenti: un impegno che, stando alle proposte di regolamenti dei Fondi per il prossimo periodo di programmazione, riguarderà in primo luogo il FESR, ma anche il FSE ne sarà investito.

Lo studio si fonda sull’analisi di una base documentale sugli interventi a favore dell’innovazione promossi dalle Regioni, sia dell’Obiettivo Competitività-Occupazione, sia di quello Convergenza, attraverso i Programmi operativi regionali (POR) FSE. La fonte informativa è costituita da una selezione di avvisi e bandi implementati dalle Regioni titolari di programmi FSE nel periodo 2008-2012, un arco temporale significativo per trarre alcune prime considerazioni anche di tipo valutativo. Le informazioni acquisite sono state verificate ed integrate attraverso una fase di approfondimento che ha visto il coinvolgimento dei responsabili regionali delle iniziative previste dai POR a favore dell’innovazione, ricorrendo ad interviste telefoniche e face to face.

Nel primo capitolo si esplicita il concetto di innovazione adottato nel disegno della ricerca e, in coerenza con esso, gli ambiti prioritari di policy individuati a riferimento del lavoro di classificazione degli avvisi raccolti ed esaminati. Prima di illustrare i risultati dell’analisi, nella finalità di avere chiaro il contesto di riferimento che fa da sfondo agli interventi per l’innovazione attuati all’interno dei POR FSE, è apparso opportuno presentare la situazione dell’Italia e delle regioni in materia di performance innovativa (capitolo 2). Il capitolo 3 è dedicato alla ricostruzione delle strategie di policy per l’innovazione delineate a livello europeo e nella programmazione regionale nel periodo 2007-2013. Nel capitolo 4 poi, si presentano i risultati dell’attività di monitoraggio e di analisi degli interventi oggetto di studio che operativamente sono stati messi in campo dalle Regioni a valere sul FSE nel periodo compreso tra gennaio 2008 e settembre 2012. Il capitolo 5 approfondisce i risultati a livello di singolo contesto regionale. Il capitolo 6 propone una serie di considerazioni di sintesi in merito ai risultati della ricerca. Chiude il rapporto una sezione (capitolo 7) in cui si individuano alcune prospettive di policy che, in considerazione della materia trattata, volutamente sono ancora aperte e non conclusive.

Rispetto al lavoro che qui si presenta è opportuno evidenziarne sia i punti di forza che quelli di debolezza. Un primo punto di forza è rappresentato dal fatto che questa analisi focalizza l’attenzione sul contributo del FSE all’innovazione, un ambito questo fino ad oggi trascurato, ad esempio rispetto al ruolo del FESR. Viene, infatti, messo in evidenza quanto sia rilevante l’integrazione tra gli interventi che vengono finanziati dai due fondi e come sia imprescindibile osservarne l’insieme per comprendere gli andamenti dei fenomeni a livello locale, ma anche nazionale.

Un secondo punto è rappresentato dal fatto che viene offerta al lettore una teoria per l’analisi delle strategie regionali a sostegno dell’innovazione, che fa riferimento al Regional innovation system (RIS), un approccio sistemico e territoriale allo sviluppo delle economie regionali. È chiaro che i programmi operativi FSE esaminati, concepiti nel 2007, sono contenitori ampi di azioni, non centrati peraltro sul tema in questione.

 

 

bozza del prossimo Regolamento del FSE propone, infatti, un focus d’attenzione specifico per l’innovazione sociale in cui esplicita che il Fondo «incoraggia l’innovazione sociale in tutti i settori che rientrano nel suo ambito d’applicazione [...] in particolare al fine di sfruttare e sviluppare soluzioni innovative per rispondere ai bisogni sociali».

L’indagine ha permesso però di isolare e catalogare quelle tipologie di azione finanziate che promuovono e sostengono la capacità innovativa dei territori secondo la teoria RIS e raccogliere, integrando le informazioni attraverso le interviste ad alcuni testimoni privilegiati sia decisori che altri stakeholders la logica effettiva degli interventi in corso di realizzazione, le interazioni con altre policy e fondi a livello regionale e le influenze che il contesto esercita sulle realizzazioni.

La parte che richiede ulteriori sviluppi riguarda la valutazione delle azioni cofinanziate, limitandosi lo studio ad offrire un punto di osservazione sì avanzato, ma limitato alla programmazione attuativa. A parziale giustificazione di questa debolezza è da considerare la tempistica della programmazione ed il fatto che gli effetti degli interventi attuati si esprimono in un arco temporale decisamente più esteso rispetto a quello qui assunto. Si è d’altro canto consapevoli che l’osservazione diretta degli effetti sui sistemi regionali richiede un ulteriore consistente sforzo di ricerca valutativa, sul campo, che si auspica di poter condurre nel prossimo futuro relativamente ad alcuni singoli territori ed interventi. È un primo passo che va in questa direzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 Il disegno della ricerca: scelte teoriche e metodologiche

 

1.1 Gli obiettivi della ricerca e le domande di valutazione

 

La programmazione 2014-2020 si pone l’ambizione di disporre di programmi che si basino su una esplicita teoria del cambiamento. Il dibattito su questo fronte è iniziato a livello europeo nel corso della attuale programmazione 2007-2013 ed è confluito in alcuni documenti che hanno dettato i principali orientamenti della imminente programmazione europea (Barca, 2009; Barca e McCann, 2011). In sintesi viene rilevata l’opportunità di rendere i programmi operativi strumenti per dare risposte a precisi bisogni attraverso l’attivazione di un cambiamento che sia misurabile. I programmi sino ad oggi sono stati spesso espressione di un ampio bisogno socio-economico senza chiaramente identificare quale tipo di cambiamento essi dovessero perseguire e attraverso quale logica di intervento. Questo perché probabilmente le Autorità di gestione dei programmi tendono a programmare all’interno di un quadro di sufficiente flessibilità per poi limitare le modifiche in corso d’opera, modifiche che richiederebbero riprogrammazioni con un forte impegno sul fronte amministrativo. Può anche dipendere da una tendenza a considerare valido sempre ciò che si è fatto in passato e a riproporlo. Le innovazioni da considerare nella programmazione operativa nel nostro paese per il periodo 2014-2020 sono enunciate nel documento di apertura del confronto pubblico per il negoziato (Ministro per la coesione territoriale, 2012). La prima innovazione, che recepisce e rilancia quanto ribadito già a livello europeo, sta nella opportunità di formulare gli obiettivi in termini di risultati attesi delle azioni previste, i quali devono esprimere le trasformazioni che si auspica di realizzare, in modo che siano osservabili e verificabili attraverso indicatori di risultato.

I decisori in questo nuovo quadro avranno bisogno di valutazioni robuste. L’enfasi posta sia dalla Commissione europea che dal livello nazionale sulla valutazione di impatto risponde a questa necessità, ma deriva anche da quanto accaduto negli ultimi anni. Molte sono state a livello europeo le valutazioni dell’implementazione dei programmi, ben meno le riflessioni disponibili sugli effetti degli interventi cofinanziati. Solo per fare un esempio rimanendo in ambito FSE, da analisi effettuate dalla Commissione (Direzione generale occupazione e affari sociali) attraverso un network europeo sulla valutazione, per la priorità Occupazione in Italia le valutazioni si sono concentrate principalmente sul processo di attuazione, sulla descrizione degli interventi in termini di volume delle azioni intraprese e il valore delle spese nei diversi assi prioritari (Metis,

2012), dimensioni peraltro che sono già trattate all’interno dei rapporti di esecuzione dei programmi. E quanto accaduto in Italia, pur con le dovute differenze, non è un fenomeno solo italiano.

Bisogna anche ammettere che i confini tra valutazioni di implementazione e di impatto non sono sempre così netti e ciò dipende anche dalle difficoltà di elaborazione di chiare domande di valutazione. In alcuni casi sono commissionate per motivi sia di accountability che di apprendimento e il disegno di valutazione, che dovrebbe dare voce ad un processo ampio in cui convergono diversi attori e visioni delle politiche, ricade spesso sui singoli valutatori che devono districarsi (per onorare i contratti che hanno firmato) all’interno di una assenza di progettualità e orientamento del decisore.

La richiesta da parte della Commissione, nelle sue diverse articolazioni di competenza, di valutazioni robuste, che mettano in evidenza gli effetti delle azioni intraprese risponde allora alla necessità di superare l’impasse delle analisi condotte nel 2007-2013 centrate più sulla gestione dei programmi e non su cosa hanno concretamente prodotto. Nell’ambito delle dichiarazioni sulla necessità della valutazione di impatto, le posizioni mostrano sfumature diverse. Molta enfasi da parte della DG Occupazione sul più ampio utilizzo dei metodi controfattuali (European Commission, 2013a), più flessibilità da parte della DG Regio nel progressivo riconoscere che tali metodi sono di per sé limitati per il policy learning e restituiscono solo parzialmente la diversità sociale, culturale, economica dei contesti in cui gli interventi prendono forma (European Commission, 2013b). La scelta del metodo dipenderà dal tipo di domanda di valutazione, dalla complessità e ricchezza di interrelazioni tra interventi, dalla disponibilità di dati, dal livello di sperimentazione dei singoli interventi da sottoporre a valutazione. In linea generale, la complessità dei programmi (in termini di tipologie di azioni da finanziare, soggetti in gioco, multilevel governance, criteri da soddisfare per disporre dei finanziamenti da parte della Commissione, ecc.) richiederà l’utilizzo di metodi misti di valutazione e di un ampio pluralismo metodologico.

Tra i metodi a cui si fa spesso riferimento per la valutazione di interventi e programmi complessi vi è la cosiddetta Theory based evaluation (TBE). Si tratta di un approccio complesso, che include vari metodi, ma che cerca di dare risposta a domande tipo: in quali condizioni una serie di interventi producono effetti? Un programma funziona? Come ed in quale contesto? In tale approccio viene considerata importante la contestualizzazione dell’azione per cogliere appieno gli effetti di programmi e interventi complessi e per dare risposta a domande su come gli interventi si combinano con il contesto in cui si attuano e come interagiscono con altri interventi pubblici, programmi e/o policy.

In una fase ex ante, l’approccio TBE potrà aiutare le autorità di gestione ad esplicitare la loro teoria del cambiamento: come il cambiamento atteso previsto dai programmi operativi contribuirà al raggiungimento degli obiettivi locali ed europei (teoria del programma) e come le azioni previste contribuiranno al raggiungimento dei risultati attesi (teoria dell’implementazione) (Riché, 2013).

In una fase on going, l’approccio TBE sarà utile per valutare se i progressi dei programmi stanno andando nella direzione desiderata e come si tiene conto dei fattori che intervengono in corso d’opera sull’implementazione (black box).

In ultimo, in una fase ex post, essa potrà fornire un quadro di riferimento per valutare l’impatto di quei programmi che integrano interventi diversi e non si prestano ad essere sottoposti a valutazioni di impatto controfattuali. Più in particolare, una valutazione di impatto basata sulla teoria si focalizza sulla teoria del programma, cioè sulle ipotesi formulate dai responsabili politici e dagli altri stakeholders sulle precondizioni, i meccanismi e il tipo di contesto per far funzionare un intervento. Questo tipo di valutazione dovrebbe confrontare queste ipotesi con i risultati osservati direttamente sul campo, ricostruendo la logica dell’intervento ed esaminando altri eventuali fattori che influenzano gli esiti delle azioni.

Le politiche per l’innovazione per le loro caratteristiche si prestano ad essere osservate e valutate con tale approccio. La non uniformità degli interventi, l’incertezza nella individuazione della catena causale, l’importanza della dimensione territoriale e del ruolo del contesto per la determinazione dell’efficacia di questa policy, suggeriscono di utilizzare soprattutto tecniche di valutazione theory based, anche con stile narrativo. Da parte della Commissione europea vi è certamente una attenzione particolare sulla valutazione dell’innovazione, testimoniata dalle più recenti indicazioni di metodo, disponibili anche in forma di linee guida (Technopolis Group & Mioir, 2012), che assumono a riferimento un sistema complesso di relazioni la cui efficacia, rispetto alla capacità di creare innovazione, dipende proprio dalla qualità e quantità di interazioni tra organismi pubblici e privati, università, piccole e medie imprese, skills, intermediari finanziari ed altri attori rilevanti su scala locale.

L’obiettivo principale del lavoro è stato quello di mettere in chiaro le strategie che sono andate definendosi a livello regionale sul tema dell’innovazione nel corso della programmazione 2007-2013, strategie di fatto ricomposte attraverso l’analisi dei contenuti dei documenti di programmazione, la loro declinazione e articolazione all’interno degli avvisi e bandi pubblici, il loro peso finanziario all’interno dei programmi, il tutto osservato avendo a riferimento la lente del framework teorico del RIS e della sua evoluzione nella Smart specialization strategy. Il confronto tra la teoria dell’innovazione RIS e la ricostruzione effettuata attraverso l’analisi dei programmi operativi 2007-2013 e della loro implementazione, offre una serie di spunti utili per il design delle politiche per la programmazione 2014-2020, con un’ottica di apprendimento.

 

 

 

1.2 Il quadro teorico-concettuale di riferimento

 

In generale, nella letteratura economico-sociologica, con il termine innovazione si definisce un accadimento per cui un fatto improbabile viene reso reale dall’incontro di un nuovo sapere con un potere capace di realizzarlo. Si tratta di una definizione che relaziona il concetto di innovazione non solo alla conoscenza scientifica, e quindi alla sua traduzione tecnologica, ma anche alla creatività, cioè alla capacità di combinare in modo nuovo, e accettato dal mercato (utenti), elementi in larga parte già esistenti, ma incrementati nella funzionalità.

Schumpeter nella sua tassonomia delle innovazioni, aveva già sottolineato la rilevanza di innovazioni non tecnologiche come quelle legate ai cambiamenti organizzativi, oltre all’introduzione di nuovi processi e prodotti (Schumpeter, 1934).

La crescente importanza che attività innovative che si differenziano dall’innovazione strettamente tecnologica e non basate su elementi formali di R&S è stata ampliamente riconosciuta nel corso dell’ultimo decennio. Nell’ultima edizione del Manuale di Oslo (OECD-Eurostat, 2005), l’innovazione viene definita come «la realizzazione di un nuovo o significativamente migliorato prodotto (bene o servizio), o processo, o metodo di commercializzazione, o metodo organizzativo delle attività d’impresa, o dell’organizzazione del lavoro, o delle relazioni esterne»2. Tale definizione, come viene esplicitamente sottolineato nel Manuale stesso, segna il superamento di una visione ristretta di innovazione precedentemente adottata, che limitava l’identificazione delle innovazioni esclusivamente a quei prodotti e processi che incorporavano nuove soluzioni tecnologiche.

Nella strategia di Lisbona l’innovazione viene concepita come il mezzo per “produrre, assimilare e sfruttare con successo la novità nei settori economici e sociale” (European Commission, 2003). In successivi documenti dell’Unione europea, la nozione di innovazione viene definita come «il rinnovo e l’ampliamento della gamma dei prodotti e dei servizi, nonché dei mercati ad essi associati; l’attuazione di nuovi metodi di produzione, d’approvvigionamento e di distribuzione; l’introduzione di mutamenti nella gestione, nell’organizzazione e nelle condizioni di lavoro, nonché nelle qualifiche dei lavoratori»3. L’innovazione pertanto viene interpretata come un processo multidimensionale: non soltanto quindi il risultato della ricerca scientifica e tecnologica, ma la sintesi di un ampio ventaglio di conoscenze sociali, organizzative ed economiche. È, in altri termini, la messa in pratica per la prima volta di una nuova concezione di un processo o di un prodotto combinando diversi tipi di conoscenza, competenze, capacità e risorse esistenti e disponibili (Fagerberg, 2005).

Data la definizione d’innovazione assunta, e in coerenza con le teorie più recenti che sottendono la politica di coesione comunitaria (Barca e McCann, 2011), in questo studio si focalizza l’attenzione esclusivamente sulla tipologia d’interventi in grado di consolidare e sviluppare quelli che nella letteratura vengono identificati come fattori abilitanti a sostenere processi di sviluppo territoriale fondati sull’innovazione. Un approccio che assume quale framework teorico di riferimento quello del cosiddetto Regional innovation system (si rimanda al Box 1.1 per un inquadramento teorico sintetico), tale per cui è proprio la compresenza in un determinato territorio di drivers di innovazione (quali ad esempio capitale umano di eccellenza, organismi di ricerca, imprese innovative, una domanda locale qualificata, ecc.) e di capacità di interazione e cooperazione tra i diversi attori istituzionali (quali le università, le imprese, i centri di ricerca, i fornitori ed utilizzatori di tecnologie, le istituzioni pubbliche locali) a svolgere un ruolo fondamentale per la creazione e lo sviluppo dei processi di apprendimento, formazione e gestione di nuova conoscenza e di innovazione. Una lettura del modo di fare scienza, tecnologia e processi di innovazione che nella letteratura è conosciuto anche come Mode2 (Gibbons et al., 1994) e che è stato declinato secondo diverse prospettive come Network model of innovation o distributed innovation process (Coombs e Metcalfe, 2002) o Chain-linked model (Kline e Rosenberg, 1986) e che ha alimentato l’idea della Triple helix, cioè di un sistema sociale per lo sviluppo dell’innovazione che viaggia sulla spinta dell’interazione fra università, industria e governo, ossia amministrazione pubblica, locale e nazionale (Etzkowitz e Leydesdorff, 1997).

Si tratta di un approccio volutamente più restrittivo rispetto a quello assunto nella definizione di azioni innovative nei Rapporti annuali di esecuzione (RAE) dei POR FSE, che si è ritenuto comunque opportuno analizzare in quanto interessati a far emergere e valorizzare l’apporto del FSE agli orientamenti di politica di coesione comunitaria (cfr. allegato 2).

 

 

Box 1.1 Regional innovation system

 

Il concetto di Regional innovation system (RIS) fa riferimento ad un approccio territoriale e sistemico al tema dell’innovazione e dello sviluppo delle economie regionali. Esistono diverse definizioni scientifiche di RIS, tuttavia, in generale con tale espressione s’intende un insieme territoriale di relazioni tra interessi privati e pubblici, tra istituzioni formali e informali, di natura economica ed extraeconomica, che funzionano in base a meccanismi organizzativi, istituzionali e relazionali che favoriscono la creazione, l’uso e la diffusione di conoscenza. Ciò produce effetti pervasivi e sistemici su scala locale con la conseguenza di rafforzare la capacità innovativa e la competitività dell’intero sistema economico ragionale. Tale approccio si fonda su alcuni assunti di natura teoricoconcettuale relativi alla natura dei processi innovativi. L’innovazione è, infatti, un processo sistemico che, nella prospettiva del RIS, è determinato dalle caratteristiche specifiche del contesto territoriale in cui è radicato. Si assume inoltre che la natura dell’innovazione sia essenzialmente sociale, in quanto i processi di manipolazione della conoscenza, l’apprendimento e la creatività dipendono dai tratti culturali, istituzionali e relazionali del contesto sociale in cui le imprese sono localizzate. La ricerca sui modelli di sviluppo territoriali evidenzia come la competitività delle economie regionali sia legata alla dotazione di network tra imprese e istituzioni territoriali regolate da orientamenti cooperativi che permettono un potenziamento della capacità di creazione, manipolazione e circolazione della conoscenza, con effetti positivi in termini di capacità innovativa e competitività economica del sistema territoriale nel suo complesso. In linea con tale visione sistemica, la strategia europea di sviluppo ha individuato il livello regionale come scala territoriale appropriata per la crescita. Inoltre, per raggiungere l’obiettivo del potenziamento della capacità innovativa e quindi della crescita della competitività territoriale, oltre ad incentivare l’aumento degli input per l’innovazione, promuove un più intenso grado di interazioni tra gli attori locali (istituzioni, aziende, centri di trasferimento tecnologico, centri di ricerca, ecc.) al fine di promuovere la creazione di network e la cooperazione. Per una rassegna bibliografica si rinvia a: Bowen E., Tian Z., Yu J., Jackson R., Cheng S., Regional Innovation Systems. An Annotated Bibliography, Regional Research Institute, West Virginia University, 2009.

 

 

Ciò non toglie l’importanza di guardare anche a quegli aspetti dell’innovazione che riguardano anche i cambiamenti istituzionali (normativi, regolativi e culturali) e sociali, con un ampliamento di prospettiva che risulta particolarmente opportuno quando si intende accogliere negli ambiti di attenzione dell’analisi valutativa anche quello relativo alla innovazione sociale, intendendo sotto questa denominazione in maniera molto generale «lo sviluppo e le applicazioni di nuove o migliorative attività, iniziative, processi o prodotti messi a punto per superare problematiche di carattere economico-sociale con cui si confrontano individui e comunità» (Goldenberg,

2004).

È opportuno evidenziare che l’innovazione sociale è un concetto che, sebbene non ancora sufficientemente consolidato nella letteratura scientifica, nel corso degli ultimi anni è comunque molto presente nel linguaggio politico istituzionale, in particolare all’interno di programmi di trasformazione dei sistemi di welfare (come ad esempio nel caso della Big Society in Gran Bretagna). Si tratta di un orientamento che è soggetto ad una evoluzione definitoria relativamente rapida (di cui si rende conto sinteticamente nel Box 1.2 ed in termini più argomentati nell’allegato 3) e che ha assunto un rilievo importante anche nel dibattito sulla programmazione della politica di coesione 2014-2020.

Proprio per questa crescente rilevanza che l’innovazione sociale sta assumendo, si è ritenuto opportuno porre l’attenzione anche su questa dimensione di cambiamento assumendo quindi come prospettiva analitica quella di una innovazione che oltre a:

«[…] essere riferita ad un prodotto, ad un processo di produzione, ad una organizzazione, ad una tecnologia, [...] in principio può anche essere rappresentata da una idea, un cambiamento legislativo e/o istituzionale, da un movimento sociale, o dalla combinazione ed interazione di tutti questi fattori» (Phills et al., 2008).

 

Box 1.2 Innovazione sociale

 

Il termine innovazione sociale (IS) negli ultimi anni si è rapidamente affermato nel lessico politico di governi nazionali e sovranazionali ed è al centro di un ampio dibattito nell’ambito delle scienze economico-socali. La rilevanza del concetto di IS è quella di focalizzare l’attenzione su processi specifici d’innovazione che non rientrano nel campo tecnologico ed economico (business innovation), evitando forme di riduzionismo economicistico per interpretare i processi complessi di cambiamento sociale. Tuttavia, anche i sostenitori di tale concetto non nascondono un problema di definizione, rilevando nella letteratura scientifica una problematica polisemia del termine. All’interno della letteratura specialistica, particolare attenzione va dedicata al cosiddetto approccio pragmatico, elaborato nell’ambito della Young Foundation si veda in particolare il Libro bianco sull’innovazione sociale (Murray et al., 2010) poiché esso ha avuto un ruolo chiave nella definizione europea di social innovation e nei criteri per identificare le esperienze che rientrano sotto l’ombrello dell’IS. In Europa la traduzione in orientamenti di policy dell’idea di IS si è avuta originariamente in Gran Bretagna dove è stato introdotto il tema dell’IS all’interno del progetto della Big Society che rappresenta la cornice ideologica della riduzione della spesa pubblica, in particolare nell’ambito delle politiche sociali, sostenendo un maggior coinvolgimento della comunità attraverso il volontariato e la democrazia di prossimità per raggiungere obiettivi di benessere sociale. Nel corso dell’ultimo anno l’Unione con la European Social Innovation Pilot. Innovation Union commitment ha assunto l’idea dell’IS all’interno della strategia Europa 2020, sotto la priorità smarth growth, all’interno dell’iniziativa faro Unione dell’innovazione. L’IS viene considerato elemento strategico per la crescita e lo sviluppo economico e sociale, in particolare rispetto all’obiettivo di empowerment dei cittadini, adottando la definizione elaborata in seno alla Young Foundation: «L’innovazione sociale attiene alla ricerca di modi nuovi modi di rispondere a quei bisogni sociali che non ricevono una risposta adeguata, né dal mercato, né dal settore pubblico, sfruttando il potenziale delle associazioni della società civile e dei soggetti dell’imprenditoria sociale».

 

 

 

1.3 Le tipologie d’azione considerate

 

Partendo da questo quadro teorico-interpretativo, si è proceduto all’individuazione e riclassificazione dei bandi regionali finanziati dal FSE orientati alla promozione e allo sviluppo di processi d’innovazione territoriali in base ad una tassonomia definita ex ante. Questa tassonomia ricomprende sei ambiti di policy per l’innovazione che, alla luce del RIS, fanno riferimento sia ai fattori abilitanti/drivers dei processi di innovazione, sia ai fattori relazionali. Tali ambiti (e i relativi interventi) sono naturalmente quelli finanziabili dal FSE in base alle tipologie di spese ammissibili. I sei ambiti di policy sono i seguenti:

 

  • Capitale umano di eccellenza: si fa riferimento a quegli interventi finalizzati ad accrescere il numero di persone che acquisiscono un titolo di studio di alta formazione post-laurea finalizzato, sia a favorirne l’inserimento lavorativo (quali ed esempio master), sia a rafforzarne la qualificazione nel settore della ricerca (quali ad esempio i dottorandi di ricerca). Rientrano in questa internazionali di eccellenza di alta formazione e quelli che incentivano il rientro nel mercato del lavoro regionale, sia delle persone che si sono formate all’estero, sia di ricercatori che si sono spostati per lavorare all’estero.
  • Nuova conoscenza: il riferimento è a quelle iniziative che, nell’ambito dei campi di intervento e di ammissibilità della spesa del FSE, sono volte a sostenere l’attuazione di progetti di ricerca e di sviluppo sperimentale con prevalenza per quelli di ricerca industriale. Rientrano in questo dominio anche quegli interventi attraverso cui si intende accrescere la propensione alle attività di ricerca delle imprese attraverso, ad esempio, aiuti all’assunzione di personale di ricerca, trasferimento temporaneo di personale di ricerca, attività formative a sostegno di iniziative di ricerca, coinvolgimento in progetti di ricerca. Si evidenzia come si tratti di un'area che riferisce a tipologie di intervento che coesistono anche con la finalità di rafforzamento e sviluppo delle relazioni tra le imprese e gli attori di produzione della conoscenza tecnico-scientifica (centri di ricerca e università), e, in taluni casi, con quella di rafforzare le capacità innovative dell’impresa basate su R&S. È un confine spesso molto sfumato, per cui il criterio seguito per catalogare un intervento come appartenente ad un ambito piuttosto che ad un altro è stato quello della pertinenza/prevalenza.
  • Rafforzamento delle capacità innovative delle imprese, in particolare delle PMI, attraverso l’inserimento di personale altamente qualificato, l’accesso a servizi innovativi, la formazione continua finalizzata all’adozione di nuove tecnologie e/o nuovi modelli organizzativi o di nuovi prodotti.
  • Reti di cooperazione tra le istituzioni di ricerca, il mondo produttivo e le istituzioni locali: si fa riferimento alle attività di collaborazione e networking tra le università, i centri di ricerca, le imprese e le istituzioni locali. Lo strumento può essere quello dell’incentivo alla ricerca congiunta e/o alla mobilità di personale altamente qualificato dal mondo della ricerca al sistema produttivo e viceversa. Rientrano in questo ambito anche quegli interventi volti a rafforzare ed ampliare l’azione di soggetti facilitatori del trasferimento di conoscenze scientifico-tecnologiche, quali i poli di innovazione, i laboratori misti pubblico-privati, i distretti tecnologici, i centri di competenza, i cluster e più in generale tutte quelle iniziative simili che direttamente o indirettamente contribuiscono alla costituzione di reti e iniziative stabili di collaborazione tra produttori e utilizzatori di conoscenza.
  • Creazione di nuove imprese ad alto contenuto tecnologico: catalogando come tali i processi di spin-off, accademici ed aziendali, grazie ai quali si dà vita ad imprese che valorizzano e sfruttano commercialmente i risultati della ricerca scientifica, trasferendo a loro volta sul mercato tecnologie, nuovi processi e servizi innovativi.
  • Innovazione in campo sociale: si assume qui, in coerenza con le indicazioni prevalenti in materia (Box 1.2), una interpretazione restrittiva di questo concetto che porta ad individuare quindi quelle attività dirette alla ricerca di nuovi modi di soddisfare bisogni sociali che non ricevono una risposta adeguata, né dal mercato, né dal settore pubblico, sfruttando il potenziale delle associazioni della società civile e dei soggetti dell’imprenditoria sociale.

 

1.4 Il processo di costruzione della base empirica

 

La costruzione della base informativa ha seguito un approccio metodologico qualitativo, ricorrendo sia a tecniche di costruzione di nuove informazioni attraverso il lavoro di campo, sia a tecniche di valorizzazione delle fonti amministrative, così come sviluppato nell’ambito delle valutazioni qualitative che riguardano la Pubblica amministrazione (Luton, 2010; Johnson, 2010; Miller e Young, 2008). La base empirica che è stata sottoposta ad analisi è rappresentata da una banca dati che contiene informazioni su avvisi e bandi a valere sui POR FSE 2007-2013 che intervengono sulla capacità innovativa dei sistemi produttivi regionali, secondo il modello teorico del Regional innovation system illustrato nel paragrafo precedente. La banca dati è stata costruita attraverso un’attività sistematica di monitoraggio degli interventi promossi dalle Regioni con i POR FSE, nel periodo 2008-2012, ed è composta nel complesso da 241 avvisi e bandi, per ognuno dei quali sono state codificate una serie di informazioni standardizzate (30 campi informativi descritti in dettaglio nel Box 1.3).

 

Il processo di costruzione della banca dati è rappresentato schematicamente nella figura 1.1, in cui si evidenzia, in particolare, l’evoluzione del disegno della ricerca e delle tecniche di rilevazione in risposta alle condizioni situazionali dell’indagine di campo.

 

FASE A. La prima fase dell’attività di monitoraggio ha previsto, in primo luogo, la definizione dei criteri di selezione degli avvisi e dei bandi. Tali criteri sono stati elaborati in coerenza con il quadro teorico e concettuale assunto nel disegno della ricerca, con particolare attenzione alla definizione d’innovazione illustrata nei paragrafi precedenti. La ricerca degli avvisi e dei bandi nella prima fase di rilevazione è stata realizzata attraverso la consultazione diretta dei canali d’informazione istituzionale delle Regioni: sono stati consultati principalmente i siti web regionali e le aree dedicate al FSE in Internet. Il lavoro di ricerca e soprattutto di selezione degli avvisi e dei bandi da considerare per il monitoraggio ha richiesto la lettura integrale dei testi pubblicati, al fine di comprendere la natura dell’intervento e, quindi, la rispondenza ai criteri di selezione adottati4. Su tutti gli avvisi e bandi selezionati è stato poi svolto un lavoro di estrazione e codifica di una serie di informazioni che ne hanno permesso la catalogazione nella banca dati. Tale operazione è stata svolta utilizzando uno strumento di rilevazione qualitativo, costruito ad hoc, consistente in una scheda di raccolta e codifica di informazioni estratte dal testo dell’avviso o del bando. Alla fine della prima rilevazione, tuttavia, sono emerse alcune criticità che hanno richiesto un lavoro aggiuntivo di ricerca e rilevazione. In primo luogo, la divisione del lavoro di monitoraggio ha generato un livello di interpretazione soggettiva più elevato di quello previsto in fase di disegno della ricerca, sia dei criteri di valutazione dei contenuti degli avvisi bandi da selezionare per l’inserimento nel database, sia delle modalità di classificazione degli interventi nella banca dati. Per ovviare a tale problema si è resa necessaria un’attività di revisione del database per omogeneizzare le informazioni inserite e le modalità di codifica, ciò ha richiesto una seconda consultazione degli avvisi e dei bandi a cui è stata affiancata anche un’attività di raccolta ed analisi dei RAE di tutti i POR FSE per gli anni dal 2009 al 2011. Tale attività ha avuto due obiettivi: il primo è stato quello di ricostruire l’insieme degli avvisi e bandi pubblicati a valere sui POR FSE 2007-2013; il secondo è stato quello di rilevare il concetto di innovazione assunto nella redazione dei RAE per individuare gli interventi innovativi (i risultati di questa attività di monitoraggio sono illustrati nell’Allegato 2).

FASE B. La prima fase si è quindi conclusa con la costruzione di una versione preliminare della banca dati che, tuttavia, presentava ancora alcune problematiche relative alla completezza e alla qualità delle informazioni raccolte da attribuire all’incompletezza di alcune fonti informative on-line e ai limiti metodologici della procedura di rilevazione delle informazioni già evidenziati sopra. È stata, pertanto, avviata una seconda fase di ricerca empirica, con un diverso impianto metodologico, basata sul coinvolgimento diretto delle Autorità di gestione (AdG) regionali dei programmi operativi FSE. Sono state, di conseguenza, contattate tutte le AdG regionali via e-mail, presentando la ricerca e sottoponendo alla loro attenzione l’elenco degli avvisi e bandi selezionati -

ognuno corredato dalle informazioni qualificanti raccolte al fine di ottenere eventuali integrazioni e, per tutte, la validazione del processo di monitoraggio realizzato. Contestualmente è stata chiesta la disponibilità per delle interviste telefoniche con interlocutori istituzionali da loro stessi segnalati, per qualificare le informazioni raccolte e migliorare la comprensione degli interventi monitorati. L’invito ha avuto risposta da parte di tutte le AdG con eccezione delle Regioni Campania, Lazio e Valle d’Aosta che, con un diverso grado di approfondimento, hanno suggerito integrazioni e validato l’elenco degli avvisi selezionati. Sono state, poi, realizzate le interviste telefoniche con gli interlocutori istituzionali segnalati dalle AdG, con i quali sono stati discussi quattro temi: 1) l’esistenza di una strategia regionale per l’innovazione e l’integrazione in essa degli interventi realizzati a valere sul POR FSE; 2) la presenza di modalità di coinvolgimento degli attori del sistema d’innovazione regionale nella definizione e individuazione degli interventi da realizzare a valere sul POR FSE; 3) il livello di integrazione e complementarietà con gli interventi realizzati con il FESR, il FAS e altri fondi regionali e nazionali nella politica per l’innovazione; 4) le prospettive di attuazione del POR FSE nella fase conclusiva dell’attuale periodo di programmazione. Sulla base dei riscontri registrati dall’interlocuzione con le AdG e delle interviste telefoniche effettuate, si è tornati per la terza volta alle fonti per raccogliere le informazioni relative ad avvisi e/o bandi suggeriti dalle AdG e dagli interlocutori istituzionali per integrare il database. FASE C. La seconda fase si è conclusa con una nuova versione della banca dati, modificata secondo le indicazioni fornite dalle AdG e da quelle emerse con le interviste agli interlocutori istituzionali. A questo punto è stata avviata una terza fase di ricerca che ha previsto un altro lavoro di campo basato su interviste con testimoni qualificati, selezionati tra esperti del funzionamento del FSE e delle politiche per l’innovazione. Le interviste in profondità hanno avuto per oggetto alcune esperienze regionali che, sulla base delle informazioni raccolte e delle elaborazioni realizzate, emergevano come realtà rilevanti ai fini della comprensione più generale dei processi d’innovazione e delle politiche per l’innovazione. L’obiettivo delle interviste è stato anche quello di discutere le principali linee interpretative della banca dati costruita attraverso il monitoraggio. Sulla base delle prime elaborazioni e delle informazioni raccolte nella seconda fase della ricerca, sono stati individuati quattro casi regionali particolarmente interessanti per la comprensione dei processi di innovazione e delle politiche a sostegno dell’innovazione, con riferimento all’integrazione dei Fondi strutturali e delle strategie regionali per l’innovazione. Le Regioni selezionate sono state: a) Friuli Venezia Giulia, b) Veneto, c) Liguria e d) Emilia Romagna. Per la scelta degli interlocutori da intervistare è stato seguito un criterio pragmatico che ha consentito di individuare i soggetti da intervistare a partire da triangolazioni di informazioni informali raccolte sul campo e/o attraverso mediatori istituzionali. Contestualmente è stato definito lo strumento di rilevazione, cioè una traccia d’intervista a domande aperte per sei grandi aree tematiche di approfondimento: 1. la strategia regionale a sostegno dell’innovazione; 2. la valutazione dell’integrazione delle iniziative promosse nell’ambito dei POR FSE; 3. l’integrazione interventi POR FSE con le politiche a sostegno dell’innovazione; 4. gli effetti sui processi d’innovazione dovuti alle variazioni nel fattore abilitante risorse umane di eccellenza;

5. la valutazione delle dinamiche di funzionamento effettivo delle reti di cooperazione tra le istituzioni di ricerca, il mondo produttivo e le istituzioni locali e dei processi di networking su scala territoriale; 6. l’innovazione sociale: orientamenti interpretativi ed esperienze esemplificative. I risultati delle interviste con i testimoni qualificati sono stati impiegati per riqualificare il database e per orientare l’analisi e l’interpretazione dei risultati.

È opportuno soffermarsi infine su alcune problematiche relative al reperimento, alla selezione e alla codifica delle informazioni inserite nel database. In primo luogo il reperimento degli avvisi e dei bandi ha risentito delle differenti modalità di pubblicazione seguite dagli enti locali. Nonostante il procedimento di validazione del database che ha coinvolto le AdG, per alcune Regioni è stato meno agevole l’individuazione esaustiva degli avvisi/bandi a valere sui POR FSE. Sul materiale raccolto, d’altra parte, la difformità della redazione dei documenti non ha permesso sempre di rilevare in maniera esaustiva tutte le informazioni previste dalla scheda di raccolta dati e, inoltre, l’attività di codifica è risultata poco agevole nei casi, non molto diffusi, degli avvisi e dei bandi che promuovevano interventi con un certo grado di complessità. Tenuto conto di questi limiti, il lavoro di ritorno ciclico alle fonti e l’attività di omogeneizzazione delle informazioni raccolte attraverso l’utilizzo di tassonomie e tipologie standardizzate ha prodotto una banca dati che si presenta sufficientemente solida e affidabile per sviluppare le analisi comparative previste dal disegno della ricerca.

In termini di analisi, le operazioni sviluppate sulla banca dati hanno avuto natura prevalentemente qualitativa e le operazioni statistiche compiute sono state limitate all’elaborazione di frequenze a fini strettamente descrittivi, avendo come riferimento specifico i dati sulla dotazione finanziaria.

 


 

2 Il contesto di riferimento

 

2.1 L’innovazione in Italia in una prospettiva comparata europea

 

Per l’esame della strategia e degli interventi per l’innovazione condotti a valere sui POR FSE può essere opportuno soffermarsi sulle caratteristiche del contesto italiano e regionale relativamente alla dimensione innovazione. A tal fine si può fare ricorso, per quanto riguarda il livello nazionale, ai risultati dell’European innovation scoreboard (EIS) dal 2010 denominato Union innovation scoreboard (UIS)5 -, mentre per quello regionale il riferimento può essere quello fornito dal Regional innovation scoreboard 6. Si tratta di fonti informative fondate su un set ampio ed articolato di indicatori che la Commissione europea mette a disposizione dal 2002 nel caso dell’EIS, dal 2004 per il Regional innovation scoreboard, e che questa istituzione utilizza con riferimento agli obiettivi proposti dalla strategia di Lisbona fino al 2010 e successivamente Europa 2020 per verificare e dare conto sullo stato di avanzamento delle politiche in materia di innovazione e ricerca scientifica nei Paesi dell’Unione europea7.

L’UIS, utilizzato per misurare le differenti dimensioni della performance innovativa di un paese, è basato su 25 indicatori (figura 2.1) che riferiscono alle seguenti tre categorie:

  • gli enabling factors, ovvero quei fattori abilitanti che pur non essendo direttamente misure di prestazione innovativa ne rappresentano comunque un prerequisito necessario per sostenere i processi innovativi delle imprese e, quindi, per il successo
  • dei sistemi regionali di innovazione (performance dei sistemi di ricerca, dotazione di capitale umano qualificato come ad esempio i laureati in discipline tecnicoscientifiche, dottori di ricerca, ricercatori ecc. il sistema dei finanziamenti);
  • le attività delle imprese in materia di innovazione che concernono gli investimenti, le reti e l’imprenditorialità, gli asset intellettuali (come i diritti di proprietà intellettuale);
  • gli output, che mostrano come l’innovazione si traduce in servizi e prodotti innovativi a beneficio, del sistema economico e sociale.

 

A partire da questi indicatori viene calcolato per ciascun paese un indice sintetico (denominato Summary innovation index) che fornisce il posizionamento competitivo in tema di innovazione di ciascun dei 27 paesi dell’Unione nonché di Islanda, Norvegia, Svizzera, Croazia, Turchia, Macedonia, e Serbia, oltre che dell’Unione nel suo insieme nei confronti di alcune nazioni chiave di benchmarking in materia di ricerca e innovazione quali: Australia, Canada, Corea, Giappone, USA, Brasile, Cina, India e Sud Africa. Sulla base dell’indice sintetico i paesi sono raggruppati in quattro cluster (innovation leaders, innovation followers, moderate innovators, catching up innovators) a seconda dei livelli di performance raggiunti negli ultimi anni.

Se si fa riferimento ai risultati riportati nell’EIS del 2007 (PRO INNO Europe, 2008) e nell’UIS del 2011 (PRO INNO Europe, 2012), l’Italia è collocata tra i paesi qualificati come innovatori moderati, il che, in termini di graduatoria, significa collocarsi dopo i paesi leader dell’innovazione, rappresentati da quelli del Nord Europa, dalla Germania e dagli immediati inseguitori, vale a dire Austria, Francia, Olanda, Regno Unito, Irlanda, Belgio e Lussemburgo. Rispetto ai paesi con un livello moderato di innovazione l’Italia dal 2008 si colloca nelle posizioni centrali. Nel complesso per l’Italia, dei 25 indicatori considerati nel UIS8, 16 si collocano al di sotto della media europea (erano comunque 21 nell’EIS del 2007). Gli ambiti di maggior ritardo riguardano il sistema finanziario (l’indicatore relativo al venture capital è pari ad un terzo della media europea), la capacità brevettale, il livello di scolarizzazione terziaria, la separazione tra produttori e utilizzatori di conoscenza. Un andamento incoraggiante si riscontra invece rispetto all’indicatore relativo alla formazione dei nuovi dottori di ricerca: un dato in significativa crescita al quale, però, fa da contrappeso la limitata capacità da parte del sistema italiano di alta formazione post-laurea di attrarre dottorandi da altri paesi. Altro segnale incoraggiante viene dagli investimenti non tecnologici delle PMI, che risultano superiori alla media europea. In generale, come osservato dal Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, in base ai report dell’EIS l’aspetto che appare relativamente più problematico della situazione italiana è rappresentato da una «persistente autoreferenzialità dei mondi accademici, industriali e istituzionali, sia a livello di mobilità sociale, sia a livello di costruzione di sistemi complessi di relazioni strutturate, in grado di governare i flussi di conoscenze tecnologiche» (Mise-DPS, 2009).

Ulteriori informazioni sulla performance innovativa nazionale sono messe a disposizione dal rapporto annuale del National endowment for science, technology and the arts (NESTA, 2011). Con riferimento all’edizione disponibile (2011) al momento della stesura di questo studio, a conferma di quanto rilevato anche dall’UIS 2012, l’Italia per quanto attiene la presenza di imprese attive sul piano dell’innovazione non tecnologica (secondo la definizione Eurostat, 2010) si colloca in una posizione di preminenza, dietro solo alla Germania e sullo stesso livello della Finlandia e della Francia. Per contro, rispetto a tutti gli altri indicatori considerati (investimenti delle imprese in innovazione, finanziamenti di venture capital, risorse umane in scienza e tecnologie, proprietà intellettuale, spesa in ricerca di base e in alta formazione) il nostro paese risulta sempre tra gli ultimi posti nella graduatoria dei paesi valutati dal rapporto9.

 

2.2 Le Regioni italiane e l’innovazione

 

Spostando l’attenzione sul livello regionale, in base al Regional innovation scoreboard

2012 (PRO INNO Europe, 2012), su ventuno Regioni italiane, dodici si collocano nel cluster delle realtà regionali europee per cui si registra una performance di innovazione moderate: di queste, cinque sono classificate come moderate high e due come moderate medium. Due Regioni la Calabria e il Molise rientrano nell’ultimo cluster della graduatoria, quello delle modest innovator: si tratta di un risultato che segnala un miglioramento rispetto a quanto si era registrato nel 2009, quando in questa categoria rientrava anche la Sardegna. Sebbene nessuna Regione italiana rientri nel gruppo delle high innovators, vi sono comunque cinque Regioni vale a dire Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Lazio che si situano nel secondo cluster della graduatoria, quello delle Regioni follower high innovators: un dato anch’esso positivo se confrontato con quello registrato nel 2009 in cui solo tre Regioni (nominativamente Lombardia, Emilia Romagna e Lazio) erano classificate come tali. Nel cluster di Regioni con una performance innovativa in crescita (cosiddette follower low) si collocano poi la Provincia Autonoma di Trento ed il Veneto: anche in questo caso si registra un avanzamento rispetto al 2009, considerato che entrambe erano classificate tra le regioni con una performance innovativa moderate.

Il Regional innovation scoreboard 2012 propone per la prima volta anche la misurazione della relazione tra la performance innovativa regionale ed il livello di utilizzo dei Fondi strutturali messi a disposizione per la programmazione 2000-2006 (l’indicatore utilizzato è riferito ai dati sulla spesa) e per quelli relativi all’attuale periodo 2007-2013 (in questo caso i dati utilizzati nell’indicatore hanno riguardato i dati di impegno) destinati a interventi per la ricerca e l’innovazione. Lo stesso esercizio di analisi viene condotto anche con riferimento al rapporto tra performance ed utilizzo dei finanziamenti per i progetti di ricerca del VI e VII Programma quadro della ricerca. I risultati ottenuti sono contradditori e tali, comunque, da non delineare nel tempo una linea di correlazione chiara e statisticamente significativa tra utilizzo dei fondi e performance innovativa regionale. Regioni che nel 2007 o 2009 presentavano una performance innovativa modesta o moderata, continuano a mantenere questa caratteristica anche nel 2011 pur a fronte di elevate capacità di assorbimento di risorse dei fondi, sia della precedente programmazione, sia di quella attuale. È verosimile, come nello stesso rapporto si argomenta, che per l’individuazione di una relazione statisticamente significativa tra assorbimento regionale dei fondi e performance innovativa di un territorio sia opportuno operare con dati decisamente più disaggregati di quelli utilizzati e con riferimento ad un periodo più lungo di tempo, considerato che gli effetti degli investimenti in R&S si manifestano in un arco temporale più esteso di quello disponibile. Relativamente più chiara invece appare la relazione tra partecipazione ai programmi quadro della ricerca e posizionamento nella performance innovativa: in questo caso, ad esempio, le realtà regionali innovation leader o innovation follower sono anche quelle in cui si registrauna maggiore partecipazione al Programma quadro della ricerca. Tale risultato può essere spiegato in riferimento ad una relativa maggiore concentrazione in queste Regioni di una massa critica di competenze avanzate nel campo della R&S. Ne emerge quindi confermato il paradosso dell’innovazione regionale, vale a dire la constatazione che proprio nelle Regioni in cui la performance innovativa è più bassa si hanno maggiori difficoltà ad usare le risorse messe a disposizione dall’Unione europea per la ricerca e probabilmente anche per gli investimenti in innovazione, anche se, come si è detto, in quest’ultimo caso la robustezza dell’evidenza statistica è limitata.

Ulteriori indicatori utili per comparare ed approfondire alcuni aspetti inerenti l’innovazione nelle Regioni italiane emergono dalle graduatorie di perfomance innovativa elaborate rispettivamente dalla Filas della Regione Lazio e dalla Regione Umbria (RUICS Umbria). Si tratta di analisi che esaminano, in una ottica comparata nazionale, aspetti dell’innovazione più direttamente legati ad aree di intervento proprie del FSE, come le risorse umane e la creazione di conoscenza e, nel caso del rapporto elaborato dalla Filas-Lazio, a partire dal 2010, anche dell’innovazione sociale misurata con la sola attenzione alla dimensione pari opportunità di genere.

In base al Rapporto RUICS 200910, le Regioni italiane che occupano il vertice della graduatoria sono: il Lazio, l’Emilia Romagna, la Lombardia, il Piemonte e il Friuli Venezia Giulia, mentre nelle ultime posizioni troviamo la Calabria, la Valle d’Aosta e la Puglia. Una graduatoria che, quanto meno per le Regioni più performanti, non si discosta significativamente dal RIS della Commissione europea. Se si limita la lettura agli indicatori della dotazione di risorse umane qualificate, le realtà territoriali in cui si registrano fattori abilitanti più positivi sono: il Lazio, l’Emilia Romagna, il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia e l’Umbria. Nel caso di creazione di conoscenza i valori più alti si riferiscono all’Emilia Romagna, al Piemonte, alle Lombardia e al Lazio; mentre rispetto al gruppo di indicatori finalizzati a misurare l’innovazione finanziaria, di prodotto, di struttura dei mercati sono il Lazio, la Lombardia, la Sardegna e il Piemonte a occupare le prime quattro posizioni della graduatoria. In relazione a questi ultimi tre insiemi di indicatori considerati emerge come siano le Regioni meridionali a collocarsi sempre al di sotto del valore medio nazionale e spesso ad occupare le ultime posizioni delle relative graduatorie.

Considerando, d’altra parte, lo scoreboard elaborato dalla Filas-Regione Lazio (FILAS,

2010), si trova conferma della posizione di eccellenza delle Regioni Emilia Romagna e Lombardia (la prima in particolare si caratterizza per una marcata crescita rispetto alla precedente rilevazione del 2008, grazie soprattutto all’alto livello di istruzione e agli investimenti in R&S). A seguire le Regioni per le quali si rilevano valori superiori alla media nazionale: il Lazio, il Piemonte e il Friuli Venezia Giulia. Intorno al valore medio si attestano poi tutte le rimanenti Regioni del centro-Nord, mentre quelle del Mezzogiorno (incluse quindi anche le Regioni Abruzzo e Molise) si collocano sotto il valore medio, con una distanza da questo valore, nel caso di Calabria, Sicilia e Sardegna, particolarmente significativa. Per quanto attiene l’innovazione sociale misurata, come si è anticipato, ai livelli raggiunti in materia di pari opportunità di genere11 le Regioni che si pongono al vertice della graduatoria sono il Molise (maggiore presenza di ditte femminili), il Lazio (amministratori donne) e l’Umbria (presenza di donne nei consigli di amministrazione).

Volendo trarre dall’analisi di questi diversi rapporti una conclusione di sintesi, pur con dei distinguo tra le diverse Regioni all’interno di una medesima circoscrizione, emerge come tratto comune un quadro di contesto che si discosta significativamente dai livelli di eccellenza registrati in diverse realtà regionali degli altri paesi dell’Unione europea. Più nello specifico appare possibile delineare la seguente mappa di criticità regionali:

• dotazione di capitale umano con livelli di istruzione universitaria (laureati e dottori di ricerca) nel campo delle scienze e delle tecnologie che, sebbene in crescita, risulta ancora distante dai benchmarking europei;

• difficoltà di impiego dei laureati e dei dottori di ricerca in posizioni coerenti con gli

studi fatti;

• bassa spesa in R&S, in particolare da parte delle imprese;

• limitata accessibilità alla conoscenza prodotta dagli organismi di ricerca da parte del sistema delle imprese con una conseguente



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