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Un euro più debole sui mercati globali

Scrive Federico Fubini, su La Repubblica, che è ormai da tempo che l'area euro punta su tassi di cambio su livelli più contenuti ma che l'instabilità finanziaria e i continui saliscendi delle monete delle grandi economie emergenti stanno spingendo la moneta unica verso esiti diametralmente opposti.

L'obiettivo è un euro più debole sui mercati globali. Un obiettivo mai chiaramente dichiarato da parte dei governi e dei banchieri centrali europei ma reso implicito e divenuto pensiero-guida alla base delle decisioni prese in questi mesi. La Banca Centrale europea ha compiuto una serie di interventi finalizzati al deprezzamento della moneta unica come il taglio dei tassi, le iniezioni straordinarie di liquidità e l'istituzione di un massiccio piano di acquisti di titoli sui mercati. Sono stati conseguiti dei risultati visto che, dallo scorso marzo alla metà di dicembre, vi è stata una caduta dell'euro sul dollaro di quasi il 13%.

E' praticamente l'unica, vera, buona notizia del 2014: un anno in cui è di nuovo mancato l'aggancio alla ripresa e durante il quale i prezzi sono calati talmente tanto da far temere per un rischio deflattivo. In una scenario del genere, una moneta unica debole non può che aiutare agevolando notevolmente l'esportazione di prodotti Ue verso i mercati esteri, dato che i prezzi espressi nella valuta locale diventano molto più competitivi, favorendo di conseguenza in Europa occupazione, e dunque, consumi ed investimenti.

Un altro benefico effetto di un euro deprezzato (“effetto che ormai la Bce persegue quasi apertamente”, commenta Fubini) è che rende un po' più cari i beni importati, impendendo così che l'indice dei prezzi crolli definitivamente, sfiorando la deflazione, evento che a Francoforte temono molto, dato che bloccherebbe consumi e investimenti di famiglie e imprese.

Erano questi gli effetti positivi che ci si aspettava giungessero dal tasso di cambio. Eppure niente di tutto questo sta avvenendo, trasformandosi anzi nel suo contrario e diventando un ostacolo in più nella lotta contro la deflazione. E nel pieno del terremoto finanziario russo.

La Bce ha pubblicato l'indice della moneta unica, ponderato in proporzione sulle valute delle economie con le quali l'Europa ha rapporti commerciali: l'indice dimostra, senza ombra di dubbio, che da fine settembre il valore dell'euro sul resto del mondo si è apprezzato dell'1,5%, e questo nonostante la moneta unica abbia continuato la sua caduta rispetto al dollaro.

In pratica, gli europei si sono illusi che la propria moneta si stesse svalutando solo perchè avevano come punto di riferimento il valore dell'euro relativo al dollaro; invece, l'indice pubblicato dalla Bce ha gelato ogni speranza, mostrando come la moneta unica non abbia fatto altro che apprezzarsi da fine settembre in poi, nel complesso degli scambi mondiali.

Quello che sta avvenendo a Mosca, un vero e proprio terremoto finanziario che sta avendo ripercussioni in altri Paesi emergenti, non fa altro che peggiorare tali tendenze: basti solo notare come, nell'ultimo mese, il rublo si è svalutato rispetto all'euro del 63%. La Turchia segue sulla stessa strada, con una svalutazione del 10%, l'Indonesia del 7,3%, l'India del 5,4%.

Nei Paesi dell'Europa Centro-Orientale vi sono state svalutazioni intorno ai due punti e ora sta avvenendo lo stesso anche sul dollaro. Una serie di economie emergenti che nel 2013 hanno fatto fruttare ai prodotti italiani molte decine di miliardi di euro in export, stanno ora nuovamente perdendo il proprio potere d'acquisto, in una spirale che rischia di costare parecchio alla già stagnante economia dell'eurozona. Quello che è accaduto alla fine dell'anno manda all'aria ciò per cui la Bce aveva faticosamente lavorato durante il 2014.

Indici finanziari di questo tipo sono una sorpresa negativa che nessuno si aspettava, almeno non con questi ritmi febbrili. Un ritorno all'instabilità non previsto, considerata la calma degli scorsi mesi; fino ad una decina di giorni fa il Vix, l'indice della volatilità, aveva vissuto il suo anno più stabile dal 2006 ad oggi. “Ora l'orizzonte è irriconoscibile: lo spettacolo di questi giorni ricorda quello delle crisi del debito dei paesi emergenti di fine anni '90”, commenta Fubini, con le banche centrali di Russia e Turchia impegnate ad alzare i tassi d'interesse su economie che frenano bruscamente ma senza riuscire davvero ad arrestare la continua caduta del cambio.

E non è un caso che queste giornate facciano tornare alle mente quello che accadeva nei primi anni Novanta: esattamente allora come oggi, Paesi che emergono dal comunismo o dalla povertà si ritrovano oberati da debiti in dollari, proprio poco prima di una stretta monetaria della Federal Reserve. Sulle imprese russe gravano 590 miliardi di debiti in dollari con gli istituti di credito occidentali ed il peso di questi debiti è raddoppiato in poche settimane in seguito al crollo del rublo.

C'è una stima della Banca dei regolamenti internazionali che calcola in circa 5.000 miliardi di dollari i debiti in valuta estera dei Paesi emergenti, a metà di quest'anno. L'irrefrenabile svalutazione della rupia indiana o indonesiana, dello yuan cinese, della lira turca o del baht thailandese rende il peso dei debiti contratti sempre più oneroso, allontanando gli investitori e affossando così ancora di più le monete emergenti.

L'Italia è, in qualche modo, al riparo da questa tempesta finanziaria poiché la sua esposizione diretta sul mercato russo non va oltre i 27 miliardi di dollari. Ma quel che più si teme è il rischio contagio, visto che anche Brasile, Venezuela e Ucraina sono state coinvolte dalla crisi partita da Mosca.

Ci sono state inoltre vendite massicce, come scrive Riccardo Sorrentino per Il Sole 24 Ore, anche degli assets dei Paesi esportatori di petrolio come – di nuovo - Venezuela e Colombia.

Se la Fed alzerà i tassi troppo velocemente c'è il rischio che vengano penalizzate le monete dei Paesi più vulnerabili: oltre ai già citati Brasile, Turchia, Russia e Indonesia c'è anche il Sud Africa a destare preoccupazioni. Il quotidiano deprezzamento di queste monete non fa altro che rivelare le pressioni che stanno vivendo le economie di quei Paesi.

Come spiega Stephen L. Jen di Slj MacroPartners, “ad un certo punto, il rischio di fratture in alcune economie emergenti salirà rapidamente. Personalmente sospetto che questo sia uno dei maggiori rischi per il 2015”. Secondo alcuni analisti di Barclays, l'attuale situazione della Russia è migliore di quella vissuta dal paese nel 1997, dato che pochissimi grandi gruppi russi hanno una liquidità inferiore al 100% dei debiti a breve termine e i “migliori” arrivano al 500%.

Di sicuro, saranno questi i temi caldi che domineranno i mercati nei prossimi mesi: il calo del petrolio, l'apprezzamento del dollaro e la prospettiva di un rialzo dei tassi americani, la frenata di alcune economie, il perdurare della stagnazione nell'eurozona. Tutti fattori tra loro anche legati, che influenzeranno le economie globali. Bisognerà monitorare attentamente i Paesi più deboli che dipendono da un solo settore (il petrolio per la Russia), o che hanno gravi squilibri con l'estero (importazioni e/o flussi finanziari come Turchia e Sud Africa), o che hanno un cambio fisso, o quasi, che limita le possibili azioni di banche centrali e politica monetaria.

Sarà il mercato dei cambi a fare da barometro: secondo Sorrentino, non saranno tanto il deprezzamento del rublo o la flessione del petrolio i fattori di rischio più preoccupanti, quanto il pericolo di un rialzo eccessivo del dollaro, in seguito alle mosse della Fed.

Daragh Maher e il suo gruppo di economisti della Hsbc hanno dichiarato: “ Il mercato dei cambi sta sottovalutando il rischio di movimenti delle valute destabilizzanti nel 2015”. Un problema che potrebbe coinvolgere tutti se andasse a sommarsi alle difficoltà dell'eurozona e alla svalutazione dello yen, nel momento in cui anche la Cina dovesse decidere di ricorrere alla svalutazione.

 

 

 

 

Fonte:  Federico Fubini. La Repubblica

 

            Riccardo Sorrentino. Il Sole 24 Ore

 

 



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