Una costellazione di imprese artigiane

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Sud. Nuovi modelli di sviluppo e scenario complessivo

Il 7 aprile scorso è stato fatto un importante passo in avanti per il sistema economico nazionale e per l'intera collettività, che potrebbe auspicabilmente apportare grandi miglioramenti alla vita nazionale. L'Enel ha infatti presentato il “Piano Bul” per la diffusione della banda ultralarga in tutta Italia, che permetterà di impiantare la rete internet superveloce. Un'operazione colossale, spiega Giovanni Valentini su La Gazzetta del Mezzogiorno, da circa 2,5 miliardi di euro, a cui dovrebbero partecipare sul piano commerciale – secondo una lettera d'intenti già siglata – anche Wind e Vodafone. Questo consentirà di realizzare un'infrastruttura immateriale equivalente, per importanza, ad una rete ferroviaria o autostradale. La fibra ottica verrà posata in 224 città, a cominciare proprio dal Mezzogiorno e, più precisamente, da Bari e Cagliari. L'obiettivo finale dell'intera operazione è quello di fornire la banda larga a 18 milioni di italiani entro il 2020, comprendendo anche i 7.300 Comuni marginali che fanno parte delle cosiddette “zone a fallimento di mercato”, ossia dove i privati non intendono investire perché non conveniente da un punto di vista economico.

Così, il nostro Paese potrà finalmente colmare l'enorme divario che lo separa dal resto d'Europa, mettendosi al passo con la competitività. Ed è proprio il Sud a poterne trarre il vantaggio maggiore, non solo per ridurre il “digital divide” con il Centro-Nord e gli altri Paesi europei. Ma anche perché, in questo modo, potrà “vendere” molto meglio a livello internazionale i suoi servizi e i suoi prodotti, dalle offerte turistiche a quelle culturali ed enogastronomiche, facendo crescere nuova occupazione. La banda ultralarga di Enel – nell'era di Internet, della comunicazione in tempo reale e dell'e-commerce – rappresenterà per il Sud un'occasione unica di ripresa e di crescita, anche più di quello che potrebbe fare una rete ferroviaria, autostradale, portuale o aeroportuale. Un'opportunità irripetibile di modernizzazione e di sviluppo. Certo, toccherà a noi meridionali sfruttarla al meglio, mettendo in vetrina ricchezze e bellezze delle nostre regioni; promuovendo le nostre coste e le nostre spiagge; valorizzando i nostri monumenti e le nostre chiese, i nostri musei, la nostra cucina, i nostri vini e quant'altro. Per rilanciare il Mezzogiorno, e l'Italia intera partendo proprio dal Sud, c'è bisogno di un vero e proprio nuovo modello di sviluppo. Necessariamente alternativo rispetto a quello degli anni del boom economico basato sul “consumismo di massa” e sull'industrializzazione selvaggia. Ci vuole un modello moderno e più sostenibile, imperniato su quella che si può definire la “filiera delle tre A”: Ambiente, Agricoltura, Alimentazione. Un trinomio in cui c'è già tutto: energie rinnovabili, turismo, artigianato, occupazione, benessere. E' questo il giacimento, la miniera da cui il Mezzogiorno può estrarre un tesoro di risorse economiche e di capitale umano. Patrimoni inestimabili di natura, arte, storia e cultura che poche aree possono vantare in così alta concentrazione e che, non a caso, derivano dal mare, cioè dal fatto che le regioni meridionali detengono il 78% delle coste italiane; proprio quel mar Mediterraneo che oggi riporta il Sud dell'Europa al centro del mondo fra tensioni e speranze legate alla globalizzazione, tra nuovi flussi migratori e minacce terroristiche internazionali.

Amedeo Lepore, in un recente rapporto della Svimez, pubblicato dal Mulino con il titolo “La dinamica economica del Mezzogiorno”, si pone la domanda retorica se non sia giunto il momento di “Una nuova cassa per lo sviluppo del Sud?”. La sua risposta, pur non sottovalutando l'effetto e l'importanza che ebbe l'intervento straordinario nel secondo Dopoguerra, è decisamente negativa. Lo storico dell'economia, dunque, riprende la proposta lanciata a suo tempo dalla stessa Associazione, per costituire un'Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno, di carattere sovraregionale, con compiti operativi nei settori della difesa del suolo, della regolazione delle acque, del trattamento dei rifiuti, della realizzazione e gestione di tutte le infrastrutture. In definitiva, “un cervello unico, una guida unitaria” in grado di provocare il risveglio del Sud, il suo riscatto civile ed economico. Come scrive Lepore, “negli ultimi vent'anni, non solo non ci sono stati strumenti all'altezza delle necessità di una strategia unitaria e condivisa per lo sviluppo del Mezzogiorno, ma la mancanza è diventata esiziale nell'individuazione di strategie, contenuti e soluzioni per la ripresa di un processo di convergenza del Sud”. Ed anzi, al contrario, il Mezzogiorno è andato sempre più divergendo dal resto d'Italia. Da qui, a partire da quel Patto per il Sud proposto dal governo, la necessità di definire e coordinare un “disegno generale” per rendere l'intervento sistematico, per evitare così la frammentazione delle iniziative e la dispersione delle risorse.

Il nuovo modello di sviluppo dovrebbe comportare anche un'uscita dall'era del petrolio per fare in modo che il Sud possa diventare protagonista di un rilancio delle energie rinnovabili: a patto, però, di non arrecare danni alla natura, l'ambiente e, soprattutto, l'agricoltura, come si è fatto recentemente con certi impianti fotovoltaici a terra che – da Monopoli fino a Canosa e a San Donaci, nel Brindisino – deturpano la campagna e il paesaggio pugliese.

E proprio riguardo le fonti di approvvigionamento energetico, l'inchiesta di Potenza ha svelato agli italiani una realtà ancora più grave dei maneggi di piccoli affaristi pronti a lucrare qualche appalto. Francesco Bei, su La Stampa, scrive infatti che l'ormai famigerato giacimento di Tempa Rossa, scoperto nel 1989, si prevede che sarà completato a fine 2017, ovvero quasi 28 anni dopo, con una serie infinita di stop and go burocratici. In Egitto, non in Svizzera, il giacimento Eni di Zohr inizierà a produrre dopo soli 3 anni dalla scoperta. E in Puglia l'elenco delle incompiute sarebbe lunghissimo.

Se il premier Matteo Renzi vuole riconquistare il voto del Sud, è su questo che deve puntare. Visto che oggi, parafrasando una frase del premier all'inizio della sua avventura - “Non è il Sud ad avere bisogno dell'Italia, è l'Italia ad avere bisogno del Sud”- si potrebbe affermare che non è il Sud ad avere bisogno di Renzi, bensì il contrario. Perché, piuttosto banalmente, si trova lì il bacino elettorale che può decidere delle sue sorti. Tra quei milioni di elettori, dove la Lega Nord non riesce a sfondare per antica diffidenza, il premier potrebbe fare man bassa visto lo stato comatoso del centrodestra. Eppure, sembra che proprio al Sud il governo stia perdendo la sua partita, visto l'ampio ventaglio di problemi. Ed è sempre nel Meridione che Renzi si ritrova ad avere un nemico formidabile, che ha un nome e cognome: Michele Emiliano. Non solo il governatore pugliese si è schierato contro le trivellazioni ma in passato si è opposto anche al gasdotto Tap a Santa Foca, agli inceneritori, e contro la scelta di un sito per lo stoccaggio nucleare. Dunque, non è forse un caso che a Palazzo Chigi abbiano scelto di invitare come ospite, tra quelli di 250 città d'Italia dove verrà stesa la banda ultralarga dell'Enel, proprio il sindaco di Bari: un prototipo perfetto, commenta Bei, di democratico barese da coccolare come anti-Emiliano.

Intanto, in Campania le forze dell'ordine stentano a contrastare l'ondata di nuova criminalità dei Casalesi di seconda generazione, che tornano nelle cronache; senza dimenticare il vulnus costituito da Bagnoli che vede su schieramenti opposti il governo e il sindaco di Napoli, De Magistris.

Mentre in Calabria sono decenni che si parla della Salerno-Reggio Calabria: bene, quindi, aver abbattuto il diaframma della nuova galleria “Mormanno”. E bene la visita al distretto sulla cybersecurity di Cosenza. Ma il buco nero sono i conti della Regione, nonostante piani di rientro severissimi. Scendendo in Sicilia, il premier non è mai entrato in sintonia con il governatore Rosario Crocetta, ormai di fatto commissariato con l'ennesimo rimpasto di giunta. Qui, pesanti questioni come Termini Imerese e il petrolchimico di Gela – dove l'Eni sta smobilitando – sono ancora tutte aperte. Intanto, però, l'estate è alle porte e gli sbarchi dei migranti si moltiplicano, con gli hotspot dell'Isola già al completo.

Su tutto il Meridione, grava come un'ipoteca la mancata attuazione del Masterplan: al governo la cabina di regia è stata spostata e ora è nelle mani di Claudio De Vincenti. Gli ultimi dati non sono ancora arrivati, ma si parla di una cifra abnorme, tra i 700 e gli 800 milioni, ancora non spesi. Colpa anche delle Regioni, indubbiamente. Ma, a due anni e mezzo dal varo della programmazione 2014-2020, non è affatto rassicurante vedere come l'uso dei fondi sia ancora fermo. E proprio i fondi comunitari, come sostiene inascoltato Isaia Sales, sono purtroppo diventati ormai da tempo “l'unica strategia per il Sud”.



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