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Si intensifica il negoziato Usa – UE per liberalizzare il commercio

Danilo Taino, su il Corriere della Sera, racconta come durante il primo mandato presidenziale di Barack Obama, insediatosi ufficialmente alla Casa Bianca nel gennaio 2009, temi come liberalizzazione dei commerci mondiali e regole del libero scambio tra Paesi non fossero ai vertici dell'agenda del nuovo Presidente americano.

Obama considerava l'argomento piuttosto irrilevante per le sorti dell'America.

Le cose cominciarono però a cambiare già nel corso di quello stesso anno. Nel novembre del 2009, Obama incontra Lee Kwan Yew, considerato il padre della moderna Singapore, uomo politico molto rispettato e ascoltato in tutta l'Asia, il quale gli spiega che il potere economico della Cina stava ormai diventando preponderante in tutti i Paesi asiatici e che l'egemonia cinese non faceva che crescere di anno in anno nell'intera macro-regione.

Lee consigliò al Presidente statunitense di muoversi in fretta e di aprire e unificare il commercio in Asia. Obama deve averlo preso sul serio poiché a due settimane dall'incontro, durante un suo viaggio in Giappone, annunciò il rilancio dei negoziati per l'istituzione della Partnership transpacifica (Tpp), con l'intenzione di liberalizzare gli scambi e i commerci nell'Estremo Oriente.

Dopo una svolta così importante nei confronti dei propri alleati asiatici, Obama non poteva esimersi dal fare lo stesso anche con i suoi antichi alleati ad Ovest, cioè i Paesi europei. E' da questa considerazione strategica che prende avvio la Partnership Transatlantica (Ttip) con l'Unione europea, tuttora in pieno svolgimento.

Taino spiega che questi retroscena giungono direttamente da Fred Bergsten, fondatore e direttore emerito del Peterson Institute di Washington, economista e consigliere politico tra i più influenti negli Stati Uniti.

Bergsten spiega dunque che, alla base delle ragioni e delle considerazioni dell'iniziativa americana verso un'ulteriore liberalizzazione dei commerci con gli europei, vi sono timori nei confronti del dilagante predominio economico della Cina.

Secondo alcuni analisti, l'obiettivo degli americani sarebbe quello di creare una sorta di Nato economica e gli intensi negoziati degli ultimi mesi servirebbero proprio a creare il nucleo di un mercato unico transatlantico, impresa di certo non semplice, ma indispensabile se si vuole limitare il potere della Cina ed obbligarla a rispettare le regole di base del commercio mondiale.

Il tempo a disposizione non è illimitato, afferma Bergsten, ed è importante che le trattative sul Ttip proseguano senza troppi intoppi. Idea condivisa, sia a Bruxelles che a Washington, da studiosi ed economisti che ribadiscono come sia questo il periodo storico più adatto, finchè gli occidentali sono ancora in una posizione di forza, per imporre una serie di regole per il commercio, gli investimenti e la sicurezza (auto, cibi, cosmetica, chimica, eccetera) che diventino norme standard da far rispettare in tutto il mondo. Tra qualche anno potrebbe già essere troppo tardi: se il potere economico-finanziario della Cina dovesse continuare a crescere a questi ritmi, il governo cinese potrebbe anche decidere di ignorare valori, priorità e regole stabilite dall'Occidente.

Bergsten definisce le due trattative, quella transpacifica e quella transatlantica, “la negoziazione commerciale più aggressiva portata avanti dagli Usa dal dopoguerra”; piuttosto paradossale se si pensa che sono state entrambe avviate da un Presidente, Barack Obama, che all'inizio del suo mandato non sembrava voler prestare alcuna attenzione all'argomento. Le ragioni che spingono una Superpotenza come l'America ad una maggiore apertura degli scambi commerciali, continua Bergsten, non sono mai solo economiche, esse sono sempre principalmente di tipo geopolitico: in questo caso, alla base, ci sono i timori legati alla Cina ed il bisogno di imporle regole e comportamenti occidentali finchè se ne ha la possibilità.

Le preoccupazioni geopolitiche americane non devono però far passare in secondo piano l'importanza dell'accordo con gli europei. Usa ed Europa si scambiano ogni anno beni e servizi per circa mille miliardi di dollari, con investimenti diretti pari a quattromila miliardi. Si tratta di due economie già fortemente integrate che, da un'ulteriore apertura degli scambi, non potranno che trarre grandi benefici. Secondo vari studi, a partire dal 2018, la crescita aggiuntiva dell'economia americana sarà tra lo 0,3 e l'1,3% mentre quella europea oscillerà lo 0,5 e lo 0,7%. Con il Ttip si cercherà un accordo per ridurre le già non elevate tariffe di import-export, di eliminare altri tipi di barriere (come le lentezze doganali, ad esempio), di stabilire le regole per nuove normative su una serie di beni, di liberalizzare lo scambio dei servizi e degli appalti e molto altro ancora. 24 tavoli tematici, più di cento negoziatori per parte e lunghissime trattative che dovrebbero portare all'armonizzazione di leggi, regole e modus operandi. Un obiettivo non da poco, che richiederà grandi sforzi, ma che si spera potrà concludersi, al massimo, entro l'inizio del 2016.

Le resistenze all'accordo ci sono, sia nel Congresso americano che in alcuni paesi Ue come Austria e Germania, ma Taino spiega che in gioco c'è “la corsa all'egemonia globale” e spera che il negoziato vada a buon fine, portando tra l'altro grandi benefici su entrambe le sponde dell'Atlantico.

 

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