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Piano Atlante per stabilizzare le banche

“Il piano Atlante produrrà un effetto leva da 50 miliardi”. Sono parole del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, al suo arrivo negli Stati Uniti per il G20 di Washington all'indomani del via libera dato al piano Atlante.

Il fondo Atlante, scrive Marco Ferrando su Il Sole 24 Ore, è un meccanismo messo in piedi per la stabilizzazione del sistema bancario italiano. Al fondo è stata assegnata una dote di 6 miliardi di euro (più il debito), che dovrà intervenire sulle quote (eventualmente scoperte) dei prossimi aumenti di capitale e, in un secondo momento, acquistare i titoli derivanti da cartolarizzazioni di crediti deteriorati. Che, e questa è una novità significativa, dovrebbero essere ceduti ad un valore tendenzialmente in linea con quello di carico delle banche, e dunque lontano dai prezzi al momento in circolazione sul mercato.

Le risorse del fondo, ha spiegato Padoan a Rossella Bocciarelli su Il Sole 24 Ore, serviranno ad attivare quelle junior tranche delle sofferenze cartolarizzate che ex-ante non appaiono appetibili, permettendo così al mercato di andare a rivolgersi alle senior tranche. “Crediamo che i calcoli fatti al valore facciale siano limitati” ha puntualizzato il ministro.

L'avvio formale del fondo è previsto nei prossimi giorni. Ma, nel corso di tre riunioni tenutesi l'11 aprile scorso al Mef, si è definita l'architettura del progetto e il probabile perimetro dei sottoscrittori: le principali compagnie assicurative (da cui ci si attende un miliardo), le Fondazioni (500 milioni) e soprattutto le banche, da cui arriveranno 3 miliardi (un miliardo a carico di Intesa e Unicredit, il terzo degli altri ma non di Mediobanca, che si è chiamata fuori). A loro dovrebbe poi aggiungersi la Cdp, con una cifra di 5-600 milioni, e con un ammontare analogo la Sga, Società per la gestione delle attività, ossia la società pubblica creata nel 1997 per il salvataggio del Banco di Napoli, che in poco più di 15 anni è riuscita a recuperare l'85% dei prestiti non rimborsati all'istituto di via Toledo, oggi inglobato da Intesa Sanpaolo. La Sgr chiamata a gestire il fondo sarà il Quaestio Capital Management sgr, guidata da Alessandro Penati, che fa capo per il 37,6% a Fondazione Cariplo. Dunque, le linee generali del progetto sono state definite, anche grazie alla cooperazione che va avanti da circa un mese – tra Roma, Bruxelles e Francoforte, visti i necessari avvalli di Commissione europea e Bce –  con due advisor (Bofa BerrillLynch e Bonelli Erede). Padoan ha spiegato che il Fondo Atlante funzionerà come un “backup”, una rete di sicurezza, per le banche italiane. Sul prezzo dei crediti deteriorati “che dipenderà dall'intensità dell'impatto” dell'iniziativa, Padoan si è detto “ottimista, anche perché il governo si appresta a varare alcune misure per accelerare il recupero crediti”.

Definito lo schema, sempre lo scorso 11 aprile il progetto è stato presentato ai rappresentanti delle principali compagnie assicurative (tra cui Poste Vita, oltre a Generali, UnipolSai e Cattolica) mentre, in seguito, è toccato ai ceo delle prime 13 banche italiane, cioè tutte le principali fino al CreVal, comprese le straniere presenti in Italia, tranne Mediobanca, né le quattro banche che, per via degli aumenti in essere, o del monitoraggio più stretto della Bce, verosimilmente non potranno contribuire al fondo: Popolare Vicenza, Veneto Banca, Carige e Mps. A tutti i presenti è stato richiesto di determinare la propria quota di partecipazione nel giro di qualche giorno.

Dunque, Atlante sarà un Fondo d'investimento alternativo: l'obiettivo, come si legge in una nota diffusa da Quaestio Sgr, e come spiegato anche dallo stesso Padoan, è quello di sostenere la ricapitalizzazione delle banche italiane e di favorire la cessione delle sofferenze del sistema. “A seguito di incontri con un vasto numero di investitori istituzionali, banche, assicurazioni, fondazioni bancarie e Cdp” si legge nella nota “Quaestio ha raggiunto un importante numero di adesioni per lanciare il Fondo Atlante”. La finalità, si esplicita, è quella di “assicurare il successo degli aumenti di capitale richiesti dall'Autorità di Vigilanza a banche che oggi si trovano a fronteggiare oggettive difficoltà di mercato, agendo da back stop facility”. In definitiva, il fondo interverrà nella fase finale della raccolta ordini, nel caso in cui si profili dell'inoptato; tuttavia, la presenza stessa del fondo Atlante, potrebbe modificare in maniera radicale la percezione da parte del mercato sugli aumenti, addirittura riducendo a zero la quota di inoptato. Ma questo, ovviamente, si vedrà.

Come già accennato da Padoan, il secondo obiettivo sono le sofferenze: Atlante “concentrerà i propri investimenti sulla tranche junior di veicoli di cartolarizzazione, potendo far leva su quelle a maggior seniority per le quali c'è un manifesto interesse da parte degli investitori”. In sostanza il fondo interverrà a valle di cartolarizzazioni, che potranno avvalersi delle garanzie pubbliche per le tranche senior (le Gacs) e che dovrebbero avvenire su prezzi più alti da quelli attualmente praticati dal mercato, cioè in linea con i valori di carico delle banche. Per quanto riguarda i rendimenti, Atlante “vuole generare benefici” si specifica nella nota “non solo per gli investitori nel Fondo, offrendo rendimenti interessanti alla luce dell'attuale scenario dei tassi, nonché la possibilità di avvantaggiarsi del possibile incremento di valore dei titoli bancari e della ripresa in atto del mercato immobiliare”.

Quanto ai timori che la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, possa storcere il naso, il ministro Padoan si è mostrato sereno: “Se il veicolo è provato e opera in base a criteri privatistici, con la Commissione europea – che abbiamo informato per ragioni di buona conversazione continua che abbiamo con loro – non c'è problema, non ci sono aiuti di Stato, e quindi non c'è un problema da risolvere con la Commissione”. Padoan ha anche chiarito che, nel prossimo Consiglio dei ministri, il governo varerà misure per gli indennizzi a chi è rimasto “scottato” con le obbligazioni subordinate delle quattro banche andate in default e messe in risoluzione lo scorso novembre. Anche Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo e dell'Acri ha espresso un giudizio netto sull'iniziativa lanciata dal sistema finanziario italiano: con la creazione del fondo Atlante, ha spiegato a Fabrizio Massaro del Corriere della Sera, “è finita la cuccagna” da parte degli speculatori “di portare via le nostre sofferenze al 18-20%”, e così di “fare l'affare del secolo”. Il riferimento di Guzzetti è ai fondi speculativi che hanno proposto di rilevare i crediti in sofferenza delle banche a una valorizzazione molto bassa, prossima a quella cui sono state valutate le sofferenze delle quattro banche saltate. E dunque a valori molto lontani da quelli medi di carico degli istituti, attorno al 40%. Il veicolo, da 6 miliardi circa, dovrebbe quindi aiutare a smobilizzare le sofferenze ai valori di bilancio, dunque senza procurare perdite alle banche.

Gli addetti ai lavori nel mondo finanziario italiano riconoscono dunque l'importanza del progetto Atlante, come il ceo di Unicredit, Federico Ghizzoni, d'accordo con Guzzetti nel ritenere il Fondo importante soprattutto “per attaccare il tema della sofferenze: se se ne riducono i 200 miliardi di euro ne beneficiamo tutti”. Una delle regole del fondo, ha spiegato Ghizzoni, è che nell'acquisto delle sofferenze saranno privilegiate le banche che sono entrate in Atlante; la stessa Unicredit è interessata a cedere crediti deteriorati.

Eppure i dubbi non mancano, visto che molti analisti pensano che il fondo Atlante non possa essere la soluzione di tutti i problemi del sistema bancario, e che esso potrà rivelarsi un'utile scialuppa di salvataggio nella bufera di Borsa, soprattutto per le due banche venete in crisi, ma non di più. Infatti, come scrive Morya Longo su Il Sole 24 Ore, sono molti anche i punti interrogativi che riducono, nella percezione attuale degli addetti ai lavori, la portata salvifica del piano del governo: ad esempio, le scarse risorse messe in campo dal progetto, l'effettiva capacità della riforma del diritto fallimentare di accorciare i tempi di recupero dei crediti deteriorati, l'impatto sociale di queste riforme. E la prima incognita è proprio nei numeri. Se anche Atlante raggiungesse l'obiettivo di una dotazione di 6 miliardi di euro, la sua potenza di fuoco non sarebbe enorme. Ad oggi, si parla di un 70% dedicato agli aumenti di capitale: se così fosse, questo lascerebbe solo briciole per i crediti deteriorati. Se, invece, alle ricapitalizzazioni fossero destinati solo i 2,5 miliardi circa necessari per veneto Banca e per la Popolare di Vicenza, il fondo avanzerebbe più risorse per agire sui crediti in sofferenza. Ma comunque, al massimo arriverebbe a 3,5-4 miliardi.

Padoan ha parlato di un “effetto leva” ed è questo che il fondo si propone di fare, acquistando appunto le tranche junior delle cartolarizzazioni dei crediti deteriorati. Con 3,5 miliardi potrebbe dunque favorire lo smobilizzo di crediti per una cifra intorno ai 15-20 miliardi. Se così fosse, non si tratterebbe di un numero piccolo per le banche in crisi. Ma, se così non fosse, come teme il mercato quando legge che il 70% del fondo sarà dedicato agli aumenti di capitale, allora il numero verrebbe ridimensionato. In ogni caso, non si tratta di valori in grado di cambiare la storia. “Questa operazione è troppo limitata per risolvere il problema dei crediti deteriorati” lamenta un operatore di Borsa.

Altro pilastro dell'intervento del governo, considerato fondamentale da tutti, è quello relativo ai tempi necessari per recuperare i crediti inesigibili. Il governo è infatti intervenuto per ridurli, tanto che attualmente una procedura fallimentare in Italia dura 7,8 anni. Uno sforzo positivo, visto che più si riducono i tempi della giustizia, più i crediti deteriorati aumentano di valore. Secondo calcoli di Mediobanca Securities, per ogni due anni di accorciamento dei tempi di recupero, il valore attualizzato dei crediti in sofferenza aumenta del 10-12%. Bene, senza dubbio. Ma, può bastare una riforma del diritto fallimentare per ridurre davvero i tempi di recupero dei crediti? “In Italia è il sistema che non funziona, non la legge” spiega Angelo Bonissoni dello studio Cba. “La legge può essere modificata per ridurre le storture, ma se ci sono i Tribunali intasati di pratiche e carenti di personale il problema non viene risolto”. Del resto già oggi, a parità di legge, le procedure nei Tribunali della Basilicata durano 12,2 anni e quelli del Trentino 5 anni: chiaramente, il problema non è la legge.

Il governo sta anche valutando se permettere alle banche di escutere le garanzie (immobili e capannoni) senza passare dalle aste, che deprimono il prezzo. Oggi è vietato. Questo, da un lato, velocizzerebbe i tempi e salvaguarderebbe il valore delle garanzie stesse, dall'altro però potrebbe anche creare alcuni effetti collaterali. Il primo dei quali – sottolinea un banchiere – per gli istituti di credito stessi: “Le banche sanno gestire capannoni industriali difficili da vendere o case in quartieri dove non c'è mercato?”. Il secondo effetto è sociale: “Che impatto ha l'escussione veloce soprattutto sulle famiglie?” si chiede Bonissoni. “L'impatto sociale, fino ad oggi, è stato mitigato dalla lunghezza delle procedure, ma un domani potrebbe aumentare. Il rischio è che, prima o poi, bisognerà studiare altre forme di ammortizzatori sociali”.

Ultimo tema spinoso, è se le Gacs riusciranno davvero ad aumentare il valore di mercato dei crediti stessi. Osserva Paolo Strocchi di Fbs, società attiva nel settore: “Per ora l'impatto sembra davvero marginale: i prezzi attualmente proposti dai fondi interessati ad acquistare i crediti non si discostano più di tanto da quelli precedenti alle Gacs”. Vero è, sottolinea Strocchi, che queste garanzie devono ancora essere usate, per cui la prova del nove ancora manca. Ma i dubbi, in Borsa, arrivano prima dei risultati.



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