Una costellazione di imprese artigiane

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Patent Box

Le imprese avranno tempo fino al 30 settembre per esercitare l'opzione patent box relativamente all'esercizio 2015, ma a condizione che abbiano presentato entro il 31 dicembre 2015 l'istanza di ruling. Questo perché, spiega Roberto Lenzi su Italiaoggi, l'opzione diviene efficace dall'anno di presentazione dell'istanza di ruling. Nessuna conseguenza negativa per le imprese che non integrano nei termini le istanze di ruling presentate: l'opzione esercitata perde efficacia ma senza penalizzare in alcun modo l'impresa che fa dietro front. In caso di presentazione di una nuova istanza di ruling, l'opzione diviene efficace dall'anno di presentazione della nuova istanza, senza dover presentare nuovamente la domanda telematica di esercizio dell'opzione. Questi sono solo alcuni dei chiarimenti che il convegno “Patent box – confronto con l'Agenzia delle entrate”, organizzato a Milano da Ipsoa, ha fornito ai partecipanti, illustrando tutti i punti contenuti nella circolare n. 11/e “Chiarimenti in tema di patent box”, diffusa dall'Agenzia delle entrate il 7 aprile scorso.

Nella circolare si legge che l'opzione per il regime può essere esercitata anche tardivamente, qualora il contribuente rispetti le condizioni previste dall'articolo 2, comma 1, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16. A titolo esemplificativo, la circolare riporta il caso di un contribuente, con periodo d'imposta coincidente con l'anno solare, che per l'anno 2015 non abbia esercitato l'opzione, ma abbia presentato istanza di ruling entro la fine del medesimo anno. In tal caso, il contribuente potrà usufruire dell'agevolazione in esame a condizione che: abbia i requisiti sostanziali richiesti dalla disciplina del patent box; che effettui la comunicazione telematica dell'esercizio dell'opzione utilizzando l'apposito modello entro il 30 settembre 2016 (vale a dire, entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile); e, infine, versi contestualmente l'importo della sanzione ridotta ai sensi della lettera c) dell'articolo 2, comma 1, del decreto legge n. 16 del 2012.

L'Agenzia delle entrate specifica che l'opzione diviene efficace dall'anno di presentazione dell'istanza di ruling. In particolare, precisa che la mancata presentazione o integrazione della documentazione entro 150 giorni per le istanze presentate entro il 31/12/2015 o 120 gg per tutte le altre determini la decadenza dell'istanza di ruling obbligatorio e, conseguentemente, la mancata efficacia dell'opzione effettuata, senza nessuna conseguenza per il contribuente, in linea con quanto già chiarito nella richiamata circolare 36/E. Qualora l'istanza di ruling obbligatorio venga nuovamente presentata e correttamente integrata, l'opzione diviene efficace e il quinquennio inizia a decorrere dall'anno di presentazione della nuova istanza. Come precisato nel corso del convegno organizzato dall'Ipso, la nuova istanza deve riguardare un bene immateriale differente rispetto alla precedente istanza di ruling: va sottolineato, però, che con ogni probabilità nell'istanza di ruling non era stato definito il bene immateriale nello specifico ma solo la tipologia e che quindi, l'azienda, dovrebbe essere libera di ripresentare la domanda anche sullo stesso bene.

Nel caso di ruling facoltativo, invece, qualora venga esercitata l'opzione e non venga presentata l'istanza di ruling, l'opzione è comunque efficace e il quinquennio comincia a decorrere; il contribuente determina in maniera autonoma l'ammontare del reddito agevolabile. Tuttavia, se nel corso del quinquennio il contribuente presenta istanza di ruling facoltativo, lo stesso non può continuare a determinare il reddito autonomamente, ma deve attendere la conclusione dell'accordo con l'Agenzia delle entrate.

La circolare dell'Agenzia ha anche sottolineato che il requisito della segretezza relativo al cosiddetto know-how aziendale, vale a dire informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali o scientifiche proteggibili come informazioni segrete, giuridicamente tutelabili, sia attestato da una dichiarazione di atto notorio che deve essere trasmessa all'Agenzia delle entrate. I contenuti obbligatori di questa dichiarazione sono ben dettagliati all'interno della circolare stessa. L'Agenzia delle entrate ha anche precisato che non saranno prese in considerazione dichiarazioni o clausole che rimandino genericamente alla riservatezza di tutte le informazioni contenute negli atti o nei contratti cui si fa riferimento o il generico richiamo all'obbligo di riservatezza che grava sui dipendenti ai sensi dell'articolo 2105 c.c., essendo necessario identificare con sufficiente precisione quali siano le informazioni su cui viene posto il vincolo della segretezza.

In base al nexus ratio, deve sussistere un collegamento diretto tra i costi per attività di ricerca e sviluppo relativi al bene immateriale e il reddito agevolabile ritraibile dall'utilizzo dello stesso. L'Agenzia ha spiegato come i costi da prendere in considerazione ai fini della costruzione del nexus ratio non sono da considerare, sotto il profilo quantitativo, nella loro accezione fiscale, né rilevano i criteri di contabilizzazione adottati dall'impresa (ad esempio, la scelta di capitalizzare o meno il costo), dovendo considerare il costo e spesa per l'intero importo nel momento del suo sostenimento come individuato in base all'articolo 109 del Tuir.

Nel determinare l'incidenza economica sul reddito d'impresa dei beni immateriali oggetto dell'agevolazione (IP), devono essere considerati “tutti i fattori che contribuiscono materialmente alla creazione del valore per l'impresa”. Non soltanto, annota Valerio Stroppa su Italiaoggi, le funzioni routinarie e gli intangibles, ma anche ulteriori elementi come sinergie di gruppo o specifiche caratteristiche del mercato. Fattori che vanno perfino al di là di quelli classificati dall'Ocse nelle Linee guida sui prezzi di trasferimento, ritenuti però necessari per garantire agli uffici una “chiara comprensione” della realtà aziendale. Il testo è anch'esso contenuto nella circolare dell'Agenzia delle entrate sopra citata, che richiede ai professionisti e alle aziende un'analisi piena di tutte le funzioni e i rischi che contraddistinguono l'attività del contribuente. Come già anticipato nelle tavole rotonde con gli operatori convocate dall'amministrazione nelle scorse settimane, i metodi di transfer pricing ammessi, sono teoricamente tutti quelli contemplati dall'Ocse. Tuttavia, alla prova dei fatti, i diversi meccanismi presentano criticità che renderanno inidonea la maggior parte dei metodi, inducendo i consulenti a privilegiare quello del profit split residuale. La circolare ribadisce che il metodo del Cup (Comparable uncontrolled price) è quello preferibile. Però, per poterlo utilizzare, è indispensabile un forte grado di analogia tra la natura dei beni e dei servizi ceduti nelle operazioni “controllate” (cioè realizzate tra imprese consociate) e quelle sul libero mercato (ossia verso soggetti terzi oppure poste in essere tra entità indipendenti). Si tratta di circostanze oggettivamente difficili da riscontrare in presenza di brand o segreti industriali per natura unici. Nemmeno i più accurati aggiustamenti (che servono ad eliminare gli effetti sui prezzi di tali differenze) potrebbero essere sufficienti a rendere il Cup affidabile. Subentra così la possibilità di ricorrere alla metodologia della ripartizione degli utili: di regola, questa serve a suddividere il profitto tra le imprese associate che intervengono nelle transazioni, in linea con quanto sarebbe avvenuto in condizioni di libero mercato. Nel caso del patent box, tuttavia, la ripartizione dei redditi riguarderà le diverse funzioni aziendali connesse al bene immateriale, al fine di isolare “per differenza” il profitto residuale attribuibile all'IP. Le Entrate declinano l'applicazione del metodo in cinque passaggi: individuazione del reddito d'impresa da ripartire tra le funzioni aziendali, remunerazione delle funzioni routinarie, determinazione dell'extra-profitto derivante dall'utilizzo di IP (vale a dire differenza tra i primi due valori), individuazione dei beni intangibili, imputazione a questi ultimi della quota parte di extra-profitto. L'utilizzo di ulteriori metodi quali il prezzo di rivendita (resale price), il margine netto della transazione (c.d. “Tnnm”) e il costo maggiorato (cost plus) viene “scoraggiato” dall'Ocse e dall'Agenzia, nonostante tali soluzioni potrebbero servire per valorizzare alcune funzioni routinarie ai fini della determinazione dell'extra-profitto. Strada pressoché sbarrata, infine, ai metodi finanziari alternativi, basati principalmente sull'attualizzazione dei flussi di cassa: il contribuente potrà avvalersene a proprio rischio e pericolo, ma dovrà poi spiegare al fisco i motivi dell'adozione del metodo “non ordinario” e dimostrare l'aderenza degli importi emersi con il valore normale delle operazioni.



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