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Maggiore flessibilità sui conti pubblici per quei Paesi che riusciranno a portare avanti le riforme

Pochi giorni prima della sua approvazione, Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, ha diffuso una bozza della “Comunicazione sulla flessibilità”, il testo di 25 pagine che ha come tema centrale la flessibilità sui conti pubblici per tutti quei Paesi che riusciranno a portare avanti le riforme strutturali necessarie. Scrive Alberto D'Argenio, su La Repubblica, che l'iniziativa potrebbe salvare l'Italia “da pesanti guai in Europa” , ed frutto di un lungo, e di sicuro non facile, negoziato all'interno della Commissione poichè, da quanto è risultato già ad una prima lettura, il testo punta a scardinare l'ortodossia rigorista che ha finora guidato le decisioni prese a Bruxelles. Il testo è stato poi approvato dall'esecutivo comunitario alcuni giorni fa durante la sua riunione settimanale tenutasi a Strasburgo in occasione della sessione plenaria dell'Europarlamento di fronte al quale, tra l'altro, Renzi ha illustrato il bilancio del semestre di presidenza italiana dell'Ue. Ed è indubbio che l'Italia, e la Francia, abbiano esercitato un certa influenza nel cambiamento di prospettiva di Juncker.

Il testo è stato suddiviso in quattro sezioni. Nella prima, viene confermato che i soldi che i Governi decideranno eventualmente di iniettare nel nuovo Fondo strategico per gli investimenti (Efsi), capitolo cruciale del pacchetto da 315 miliardi fortemente voluto da Juncker per ridare slancio all'eurozona, non verranno conteggiati nel calcolo del deficit dei singoli Paesi.

Una mossa del genere, “temporaneamente, e a precise condizioni”, scrive Marco Zatterin su La Stampa, libererebbe risorse dal Patto di Stabilità. Dunque un chiaro spostamento degli equilibri, passando dal dogma dell'austerità a quello della crescita. E' da tempo che si combatte sui due fronti, con il partito dei rigoristi da una parte (nel quale la Germania è il Paese-leader) e quello della crescita dall'altra (con Italia e Francia) e, per l'ammontare dei contributi che gli Stati europei verseranno per prender parte al piano di investimenti Ue, ci si era ripromessi di sfruttare ogni margine esistente nei Trattati. Anche se, appunto, non sarà facile conciliare priorità così diverse.

Esiste già una cosiddetta “Clausola d'investimento”, nata nel luglio del 2013 per ritagliare spazi di maggiore flessibilità nella cornice del Patto che governa la politica economica europea. Ma, col tempo, la “Clausola” ha mostrato tutti i suoi limiti poiché piuttosto difficile da utilizzare: ci aveva provato il Governo Letta, ricorrendo ad un piano di riforme e deficit sotto il 3% del Pil, ma Bruxelles bocciò l'iniziativa salvo ammettere in seguito che si trattava di uno strumento ideato male in partenza. Si decise così di rivederne le regole e di allargarne lo spettro d'azione. Ora, dando ormai per scontato che la partecipazione dei 28 Paesi Ue al fondo Efsi (21 miliardi) non sarà fonte di sanzioni da parte di Bruxelles qualora fosse causa dello sforamento del Patto di Stabilità, in molti stanno valutando l'ipotesi di scorporare anche la quota nazionale dei progetti scelti col piano Juncker. Il motivo è che, grazie alla garanzia dell'Efsi, potrebbero essere rilanciate molte opere infrastrutturali attirando capitali privati. Visto che queste opere nascerebbero sotto l'egida dell'Unione Europea (per citarne due, il piano per “la Buona scuola” da 8,7 miliardi o il terzo valico della Genova-Tortona), i soldi spesi potrebbero non essere computati ai fini delle pagelle europee, naturalmente sempre che parametri come il rapporto deficit/Pil siano nella norma. “Passando per la stretta via della “Clausola”, l'Italia potrebbe ritrovarsi i miliardi extra per la scommessa sulla ripresa che Renzi chiede da sempre. Magari di più”, fa notare Zatterin. La proposto più importante di questa sezione riguarda la maggiore flessibilità nello scomputare dal conteggio del disavanzo strutturale anche i soldi nazionali (cofinanziamenti) che i governi devono stanziare per accedere ai fondi strutturali. Come afferma il presidente del gruppo Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (SeD) al Parlamento europeo, Gianni Pittella, sentito da Antonio Vastarelli su Il Mattino, il cofinanziamento nazionale di progetti realizzati con fondi strutturali europei non verrà conteggiato ai fini dello sforamento del Patto. Un'ottima notizia per il Sud visto che, in passato, molti progetti non erano stati terminati, con fondi europei andati sprecati, perchè lo Stato non poteva mettere a disposizione la sua parte di cofinanziamento, “la cui spesa avrebbe comportato uno sforamento del 3%. Ora migliaia di amministratori locali e regionali potranno utilizzare quei soldi che avevano in cassa ma che le regole europee gli impedivano di spendere”. Una flessibilità che consentirà di investire in nuovi posti di lavoro, nella scuola, nella ricerca e nell'innovazione, una vera manna soprattutto per il Sud Italia, chiarisce Pittella.

Un'altra delle battaglie condotte a livello europeo da parte del nostro Paese, la si ritrova nella sezione due della bozza diffusa da Juncker: la possibilità di scomputare dal deficit gli investimenti pubblici produttivi, che generano crescita e occupazione, evitando di doverlo fare ricorrendo alla “Clausola”, rivelatasi appunto strumento quasi inutilizzabile. D'Argenio ribadisce quanto sia importante che un Paese si mantenga al di sotto del 3% del deficit per poter godere di una certa flessibilità; ma, una volta confermato questo parametro, sarebbe giusto poter utilizzare i più ampi margini di manovra concessi sino a quel tetto senza dover affrontare annose procedure di infrazione, leggi di commissariamento e sanzioni, che sono infatti previsti dal Fiscal Compact anche da parte di chi rispetta i parametri di Maastricht. Un'altra novità è data dal fatto che, se per accedere alla Clausola era necessario che tutta la zona euro fosse in grave recessione, ora basterà che lo sia solo quel paese che decida di investire, anche se è ancora da negoziare una definizione oggettiva di recessione “grave”.

Nel terzo capitolo della bozza è affrontata un'altra questione cruciale per l'Italia. Riguarda, infatti, le riforme strutturali: chi deciderà di varare nuove iniziative mirate a rendere il proprio Paese più moderno ed efficiente, e saranno i controlli ad hoc di Bruxelles a valutare caso per caso, potrà evitare di risanare il deficit strutturale dello 0,5% all'anno (per l'Italia si parla di 8-10 miliardi).

Una deroga ritenuta molto importante, che il fronte dei falchi rigoristi aveva provato a far saltare inserendo una postilla (ora scomparsa) in base alla quale, chi accede alla clausola delle riforme, viene messo sotto procedura in modo automatico per squilibri macroeconomici, ricorrendo così ad uno strumento varato recentemente dall'Europa per controllare più da vicino, scrive D'Argenio, anche quei Paesi che non hanno sforato il limite del 3%, imponendo loro “un vero e proprio programma di politica economica”.

Il capitolo quattro riguarda ancora il deficit ma, in questo caso, la sua correzione. Per esemplificare: si concede, ad un Paese che non abbia ancora dimezzato il proprio deficit, di procedere con una correzione non più dello 0,5% all'anno, bensì dello 0,25%, ovviamente solo in determinati casi selezionati tramite severissime formule matematiche.

L'Italia punta molto sul testo della Commisisone anche perchè, il nostro, è uno di quei Paesi che non rispettano vari parametri, pur mantenendosi sotto la soglia del 3%. In queste condizioni la sanzione sarebbe certa; con un varo immediato, invece, il nostro Paese affronta il giudizio sui conti pubblici, rinviato al marzo prossimo da Juncker, con una maggiore dose di ottimismo. In pratica, come scrive Ivo Caizzi su Il Corriere della Sera, bisognerà aspettare marzo per ogni decisione di rilievo ma è ormai chiaro che i giudizi sul bilancio di Italia, Francia e Belgio, avranno un connotato prettamente politico: grazie al testo, gli investimenti italiani per i programmi cofinanziati dall'Ue saranno visti con benevolenza, così come gli esborsi nazionali per il piano di investimenti di Juncker. Ma l'alto debito pubblico italiano continuerà a penalizzare il nostro Paese, e questo, nel giudizio finale, dovrà contare. Uno dei vice-presidenti della Commissione europea, il lettone Valdis Dombrovskis, ha affermato che il Patto di stabilità sarà applicato in modo “intelligente, efficace e credibile” e che vi sarà un “dialogo trasparente”, ha aggiunto Moscovici, commissario francese per gli Affari economici. Dunque, marzo sarà un mese risolutivo anche se il ministro dell'Economia italiano, Pier Carlo Padoan, si mostra fiducioso, riconoscendo un approccio più flessibile da parte della Commissione, soprattutto grazie al lavoro svolto dall'Italia durante il suo semestre di presidenza, sottolineando: “Ora gli Stati membri avranno maggiori possibilità, nel rispetto del patto di stabilità e crescita, di effettuare investimenti indispensabili per promuovere il rilancio dell'economia e creare posti di lavoro”. Stimoli e interventi di cui l'Italia ha urgente bisogno, considerando il nuovo record negativo di disoccupazione e il debito ancora in aumento.

 

Fonte:   Alberto D'Argenio. La Repubblica

 

             Marco Zatterin. La Stampa

 

             Ivo Caizzi. Il Corriere della Sera

 

             Antonio Vastarelli. Il Mattino

 

 

 



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