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La politica monetaria della Bce e gli scenari in evoluzione

E' ormai chiaro come la Banca centrale europea non abbia intenzione di fare alcun passo indietro rispetto alla politica monetaria non convenzionale (o forse, ormai, convenzionale) posta in essere quasi due anni fa. Anzi. La sua linea di politica monetaria è stata ribadita appena pochi giorni fa con la discesa in campo dei quattro pesi massimi del suo comitato esecutivo, scrive Danilo Taino su Il Corriere della Sera: si tratta del presidente Mario Draghi, del suo vice Vítor Constâncio, del capo economista Peter Praet e di Benoît Cœuré. Uno schieramento potente che si è esposto non solo per rimarcare il successo delle iniziative prese fino ad ora - annunciando che, se ve ne sarà bisogno, altre verranno messe in campo – ma anche per attenuare l'effetto delle critiche alle recenti scelte di Francoforte che stanno giungendo soprattutto dalla Germania (rivelate anche, il 7 aprile scorso, dalle minute dell'ultima riunione del consiglio dei Governatori). Nell'accompagnamento al bilancio 2015 della Bce, e poi in un discorso in Portogallo, le argomentazioni di Draghi sono state a 360 gradi. Da un lato, infatti, sostiene che gli acquisti di titoli sui mercati (il Quantitative Easing) da parte della Banca, nonché i tassi d'interesse negativi, siano stati efficaci nell'evitare che l'eurozona entrasse in una spirale di deflazione, nell'abbassare il costo del credito alle imprese così come nell'aggiungere vigore alla ripresa economica, esattamente l'1,5% del Pil tra il 2015 e il 2018. Su questo tragitto – ha assicurato Draghi – la Bce non farà alcun passo indietro, non si “rassegnerà” ad un'inflazione troppo bassa: anzi, “farà qualsiasi cosa necessaria” per raggiungere nel medio termine l'obiettivo di un aumento dei prezzi vicino al 2% annuo. Dall'altro lato, il presidente della Bce non vuole nascondere i rischi, economici e politici, di fronte ai quali si trovano Europa ed eurozona. Come già il Fondo monetario internazionale, anche Draghi nota che l'economia mondiale si sta pericolosamente indebolendo e, a fronte di uno scenario non proprio incoraggiante, l'area dell'euro presenta rischi di “fragilità”.

Sarebbe dunque pronta a rispondere ad eventuali, nuovi choc in arrivo dall'esterno? Le manca qualcosa (forse parecchio), sembra voler mettere in guardia Draghi. Sia perché i singoli governi non stanno facendo abbastanza nell'attuare le riforme che migliorerebbero le competitività nazionali, e nel realizzare politiche di bilancio attente al patto di Stabilità ma anche orientate alla crescita; sia perché la costruzione dell'architettura dell'eurozona è incompleta. Si tratta, ha spiegato Draghi, “di mettere in pratica il Rapporto dei Cinque Presidenti” presentato lo scorso anno, che traccia una road-map verso un'integrazione più organica e più stabile della governance dell'area euro.

La Bce è consapevole di essere stata e di dover continuare ad essere un pilastro per la stabilità dell'Europa, vista la confusione che vi domina da tempo – tra terrorismo, rifugiati, Brexit, possibile nuova crisi in Grecia, ritorno dei nazionalismi. Ed è anche per questo che in questi giorni i suoi più alti rappresentanti al completo hanno voluto mandare un doppio messaggio: la Banca centrale c'è, ci sarà e farà politiche autonome; ma anche i governi devono fare scelte più coraggiose. Davanti al Parlamento europeo, il vicepresidente Constâncio ha detto che i prezzi in calo stanno iniziando ad avere cosiddetti effetti second-round: il calo dei costi energetici si starebbe cioè riverberando anche sul resto dei prezzi, rendendo così la diminuzione intrecciata all'economia reale. Un pericolo serio, al quale la Bce risponderà, se sarà necessario. Tra l'altro, dalle minute dell'ultima riunione del consiglio dei Governatori risulta che i tassi d'interesse sui depositi bancari presso la Bce, oggi negativi per lo 0,40%, non sono considerati il limite minimo raggiungibile, potendo ancora scendere.

E' Cœuré ad aver sostenuto cose simili ma, parlando poi a Francoforte, ha aggiunto che la Bce andrà avanti facendo le sue scelte autonomamente. Il che è sembrata essere una risposta indiretta alle critiche avanzate alla Banca centrale da alcuni politici tedeschi (non direttamente, va detto, dal governo di Berlino). Cœuré, riferendosi alla Germania, ha detto: “Questo è un Paese in cui l'indipendenza della Banca centrale andrebbe sostenuta”. Praet, sulla stessa linea dei colleghi, ha ribadito che se dovessero esserci nuovi choc globali la banca sarebbe pronta a “ricalibrare” di conseguenza le sue politiche; ma, ha anche affermato che sarebbe “abbastanza preoccupante” se i tassi d'interesse negativi rimanessero tali per due o tre anni, cosa che sui mercati creerebbe una certa confusione. Si è trattato di un grande sforzo di comunicazione da parte della Bce, che sta cercando di coprire il silenzio di strategie dei governi nazionali. La Banca centrale è ormai la sola istituzione europea, scrive Salvatore Bragantini su Il Corriere della Sera, il cui vertice agisce non secondo logiche nazionali, ma nell'interesse di tutta l'eurozona, rappresentando così un bene prezioso per l'Europa futura. Motivo per cui si spera che, il volume sempre più alto delle critiche in arrivo dalla Germania, possa in qualche modo essere messo a tacere anche grazie al vertice bilatetale italo-tedesco che si terrà a Torino. Bragantini sottolinea come tutte le critiche siano lecite, ma che lo stesso non si può dire di quelle che mirano solo ad indebolire la Bce, unico baluardo di stabilità nell'eurozona, magari condizionandone impropriamente le scelte. E tale è quella del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble: per lui, è colpa della Bce se il partito Alternative für Deutschland è riuscito ad ottenere buoni risultati nelle elezioni locali. Dove andrebbe a finire l'imprescindibile indipendenza della Bce dalla politica e cosa direbbe Schäuble se il suo omologo, Pier Carlo Padoan, esigesse una politica più morbida per poter togliere munizioni elettorali al Movimento 5 Stelle? L'arrogante pretesa che la Bce rimanga lontana dalla politica altrui e che, invece, stia attenta a quella tedesca, in qualche modo risveglia antiche paure.

Per i critici delle scelte di politica monetaria di Francoforte, con i tassi bassi – definiti “punitivi” - la Bce aggira il divieto di finanziamento monetario dei deficit; penalizza i risparmiatori tedeschi mentre aiuta i Paesi del Sud debitori; il credito alle imprese comunque scarseggia; non si ravviva l'economia debole; anziché volere un'inflazione zero la vuole moderatamente positiva, e neanche ci riesce; sostenendo in modo artificioso i corsi dei titoli aiuta i ricchi, eccetera. Critiche (quasi) tutte sensate, ma (quasi) tutte ignorano, come fosse solo un dettaglio secondario, la domanda chiave: nello scenario in cui ci muoviamo, cos'altro potrebbe fare, in concreto, la Bce per adempiere al mandato di preservare la stabilità monetaria, definita da un tasso medio annuo d'inflazione nell'eurozona “poco sotto il 2% nel medio termine”? Essa non può affrontare il problema vero, nel mondo ci sono troppi risparmi, o troppo pochi investimenti attivabili e la domanda flebile blocca i secondi. La sproporzione tra risparmi e investimenti è la vera causa dei tassi bassi, che altrimenti non resterebbero tali così a lungo. Tocca alla politica farsene carico, la Bce può solo cercare di “snidare” i capitali riluttanti e forzarli ad investire sperando poi di ottenere rendimenti reali.

Anche la politica delle banche centrali, si dice, “crea” risparmi; però le conseguenze dell'alternativa monetaria “tradizionale”, ad esempio quella imposta dal ministro Mellon al presidente Usa Hoover, le abbiamo viste nella crisi del '29, che rappresenta il “libro di testo” sul quale hanno studiato i banchieri centrali, da Bernanke alla Yellen, a Fischer, a Draghi ecc. La Bce certamente potrebbe comprare, con il Qe, altri titoli, più adatti di quelli pubblici a ravvivare velocemente l'economia, come chiesto – tra gli altri – da Vincenzo Visco.

Chi, però, non indica alternative pratiche che non siano la dissoluzione dell'euro, o non sa quel che dice oppure è in malafede; o, magari, punta ad una nuova Unione Monetaria fatta dalla Germania e dai suoi “nuovi satelliti”. Non dovrebbe essere la linea della Cancelliera, e neanche quella del suo ministro delle Finanze. La Bce fa quel che deve, è giusto che anche gli altri lo facciano; la sua politica monetaria nasce per salvaguardare l'euro, non può anche raddrizzare un assetto istituzionale nato sghembo. Il debito pubblico alto non è stato causa (come vuole la narrazione corrente), ma conseguenza diretta della crisi finanziaria (l'Italia è ovviamente un'altra storia); se non si ravviva la domanda, carente soprattutto per la penuria di investimenti pubblici e privati, nessuna politica monetaria potrà mai riuscire a risollevarci. I tassi sono “punitivi” anche per i risparmiatori italiani, non solo per quelli tedeschi o finlandesi; ed anche alle nostre pensioni non giova questa politica monetaria.

I tassi bassi, però, favoriscono anche la Germania, il cui debito, in valore assoluto, non sfigura a confronto col nostro. L'inflazione poco sotto il 2% è nel mandato costitutivo della Bce e aiuta a recuperare competitività. Mario Draghi ha detto che se l'inflazione è stata a lungo sotto l'obiettivo di medio termine, dovrà stare per un po' al di sopra. Constatazione impeccabile: dati gli anni trascorsi ben al di sotto del 2%, ciò implica per il futuro la difficile meta di un periodo parecchio sopra il 2%. Una provocazione per molti, a Berlino; la Bce, pur senza farsene condizionare, non può ignorarlo del tutto.

Il Quantitative Easing “aiuta” sì i ricchi, sostenendo il valore dei titoli, ma anche chi non ne ha starebbe peggio se, senza Qe, il valore dell'euro schizzasse al cielo, come accadrebbe con una politica monetaria “tradizionale”; il fine del Qe non è svalutare l'euro, ma adempiere al mandato della Bce, fissato nelle regole che essa si diede sotto un “velo d'ignoranza” a fine anni '90. Non lo si può cambiare soltanto perché attualmente in Germania è impopolare.

Detto questo, forse non tutti si rendono conto di dove sarebbe l'euro con una politica “tradizionale”: chi sarebbe disposto a comprare le merci tedesche, francesi o italiane a quel cambio?

A pensar male si fa peccato, ma volere condizionare la Bce con intimidazioni è soltanto controproducente. Alzare il livello dello scontro non serve a nulla, se non a far capire che fra tre anni, scaduto il mandato di Draghi, tutto cambierà. Ma scherzare col fuoco è pericoloso: indebolire e condizionare le scelte dell'unica istituzione stabile rimasta in Europa potrà solo creare danni.

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