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La Francia si trova in una situazione economica e sociale forse peggiore di quella italiana.

Nessuno potrebbe negare la gravità della crisi economica e di fiducia dei cittadini nei confronti della politica vissuta dall'Italia in questi anni, che tutt'oggi perdura. Così come è impossibile ignorare tutti gli ammonimenti e le severe osservazioni indirizzate al nostro Paese da parte delle istituzioni dell'Ue. Eppure Marco Moussanet, su Il Sole 24 Ore, presenta un altro punto di vista sulla questione, affermando che la Francia si trovi in una situazione anche peggiore di quella italiana.

“Lo osservava appena prima di Natale, durante la tradizionale cena di fine anno, il numero due di una importante banca francese (che ha votato Sarkozy nel 2007 e Hollande nel 2012, rimanendo deluso da entrambi) “, scrive Moussanet. Vi sono almeno tre ragioni fondamentali alla base di questo ragionamento: l'Italia gode di un surplus primario dei conti pubblici, ha un saldo positivo della bilancia commerciale e sta attuando sul serio le sue riforme. Inoltre, è guidata da un giovane premier che può contare su una forte legittimazione elettorale e su un consenso che, seppur in calo, ha resistito bene agli scossoni degli ultimi tempi.

Si tratta di fatti oggettivi e non contestabili, che spingono il nostro Paese a rivendicare il diritto di far sentire maggiormente la propria voce sulla scena internazionale, soprattutto nei confronti della Germania e della Commissione Europea, delle quali bisogna riconquistare la fiducia perduta dopo anni di promesse non mantenute e di scandalosi intrecci tra politica e criminalità.

Di recente il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, si è sentito in dovere di difendere la credibilità dell'Italia negando con forza una presunta alleanza con la Francia allo scopo di ottenere dai partner europei (fronte rigorista del Nord in testa) e dalla Commissione un alleggerimento dalla morsa di austerità sui conti pubblici, puntando più sui temi della crescita e dell'occupazione. Smentendo anche le voci che volevano Italia e Francia unite nel portare avanti ipotetiche pressioni sulla Bce affinchè assumesse decisioni di politica monetaria più elastiche ed espansive, a partire dall'acquisto di titoli pubblici di nuova emissione.

Lo stesso dicasi per il Governo di Parigi, che ha silurato qualsiasi illazione su questo tipo di alleanza impegnandosi a ribadire, in ogni occasione, che le riforme verranno attuate non perchè lo chieda Bruxelles o per evitare sanzioni, ma perchè è nell'interesse della Francia portarle a termine. Le rapide smentite di entrambi i Paesi stanno a dimostrare che Roma e Parigi non vogliono essere etichettate come membri del “club del lassismo” e della poca attenzione verso i conti pubblici, anche per evitare fratture o contrapposizioni specialmente col governo tedesco.

Dunque, un'alleanza vera e propria non esiste. Ma una comunione di interessi sì, che coincide con medesime posizioni ed esigenze, ed è proprio la Francia ad insistere su questo punto.

C'è stato un tempo in cui Parigi si sentiva l'elemento virtuoso dell'asse con Berlino (cosa poi ampiamente smentita dai fatti) e guardava all'Italia e ai suoi governi con sufficienza e malcelato senso di superiorità. L'atteggiamento arrogante del passato e l'abitudine ad alzare la voce al tavolo dei negoziati quando si voleva imporre il proprio punto di vista, sono abitudini che la Francia del 2015 non può più permettersi. Di sicuro non dopo gli ormai quindici anni consecutivi di costante declino che, secondo molti osservatori, sarebbe cominciato quando Parigi ha deciso di varare la legge sulla riduzione d'orario a parità di salario, portando ad una diminuzione della produttività francese. Lo scorso anno sembrava ormai prossima l'apertura di una nuova procedura per deficit eccessivo, che avrebbe comportato sicure sanzioni; il governo Hollande si è visto costretto ad agire d'anticipo, mettendo i partner dell'Eurozona davanti al fatto compiuto e facendo in modo che la procedura d'infrazione diventasse una questione politicamente improponibile per il Paese.

Un giochino un po' sporco, lo definisce Moussanet, che però ha ottenuto il suo effetto ossia quello di evitare le bacchettate dell'Ue. Infatti, nonostante la recidività della Francia, Bruxelles ha concesso ai francesi il rinvio di altri due anni dell'obiettivo del 3% spostandolo dal 2015 al 2017, ed è estremamente probabile che a marzo verrà dato il via libera definitivo al budget 2015, così come al programma di stabilità pluriennale. Certo, Parigi dovrà impegnarsi a trovare altri 3,6 miliardi (cosa non facile) e dovrà necessariamente far approvare una legge sulle liberalizzazioni che, anche se parecchio annacquata rispetto alle richieste della Commissione, faticherà non poco a conquistarsi i necessari voti in Parlamento. Con la speranza che le iniziative decise dal governo di Parigi, che prevedono un radicale cambiamento della politica fiscale (26,5 miliardi di detrazioni per le imprese quest'anno dopo 30 miliardi di inasprimenti nel biennio 2012-2013) possano ridare ossigeno all'economia francese e permettano di ottenere le prime, buone notizie sia sul fronte dell'occupazione che su quello della crescita.

Eppure, i problemi di fondo permangono e non vengono affrontati come richiesto da Bruxelles.

La Francia continua ad avere il primato negativo di Paese dell'eurozona con la spesa pubblica e la pressione fiscale sul Pil più elevate in assoluto, con crescita bassa e livelli di disoccupazione che non accennano a calare (un dato su tutti: dall'elezione di Hollande, risultano esserci 600 mila iscritti in più al collocamento). In questi ambiti, non sono state compiute scelte coraggiose di tipo strutturale dato che il conclamato taglio della spesa, che è invece ancora destinata a salire, è solo apparente trattandosi di una semplice diminuzione dell'aumento inerziale.

Inoltre, nulla è stato fatto per ridare flessibilità al mercato del lavoro francese, che sembra bloccato in una rigidità sempre più duale visto il suo stock di contratti a tempo indeterminato pari all'84% ed un flusso di contratti precari dell'85%.

E sembra piuttosto confuso ciò che sta avvenendo a livello legislativo, dando l'impressione di avere davanti una Francia fragile e in difficoltà, che ha quindi bisogno di un alleato come l'Italia in questo  momento storico.

Moussanet spera che questo tipo di alleanza d'intenti non diventi un modo per unire i nostri due Paesi in una battaglia fatta di inutili polemiche e conflitti con Bruxelles (che pure dovrà fare la sua parte), Berlino e Francoforte, ma che diventi, al contrario, uno stimolo a fare le riforme strutturali necessarie, che l'Italia ha già iniziato a fare e che Hollande ancora stenta ad imporre nel suo Paese.

L'auspicio è che si tratti di un'alleanza virtuosa, in cui i due Paesi saranno capaci di fare da traino l'uno all'altro, rappresentando gli alfieri del fronte delle riforme in Europa.

 

 

 

Fonte:  Marco Moussanet. Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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