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Implicazioni ed effetti della riforma del Jobs Act

Non si conoscono ancora a fondo tutte le implicazioni e gli effetti che la riforma del Jobs Act, da poco varata dal Governo, avrà sul mercato del lavoro italiano e questo genera molti dubbi nonché critiche e paure in coloro che temono possibili penalizzazioni.

Maurizio Ferrera, su Il Corriere della Sera, fa notare la rapidità con la quale i Jobs Act sono diventati una realtà: in appena meno di un anno, si è passati dalle semplici enunciazioni del governo Renzi alla Gazzetta Ufficiale, trasformando così quello che era solo un semplice sommario di punti “formulato insieme ai ragazzi della segreteria” (eNews di Matteo Renzi, 8 gennaio 2014) in una riforma di ampio respiro, approvata lo scorso 10 dicembre con legge delega.

Il percorso è stato dunque rapido, ma anche estremamente travagliato e turbolento.

Per questo Renzi è particolarmente orgoglioso di essere riuscito a condurre in porto, entro dicembre, la sua contrastata riforma del mercato del lavoro. Impresa considerata un indubbio segnale positivo verso l'Europa, i mercati finanziari, gli investitori esteri ma, soprattutto, verso l'interno, dotando così l'Italia di un mercato del lavoro più equo ed efficiente.

Come avviene per tutte le grandi riforme che toccano temi sensibili, anche il Jobs Act ha scatenato molte paure nella pubblica opinione e dure polemiche da parte dei sindacati. E' per questo, sottolinea Ferrera, che è necessario fare chiarezza sulla riforma, mettendone in luce alcuni elementi di fatto ed illustrando i suoi probabili effetti. E' poi sulla base di queste informazioni che se ne potrà dare un giudizio informato, al di là di speculazioni e sterili critiche.

Innanzitutto, bisogna specificare che per tutti i lavoratori che oggi godono di un posto a tempo indeterminato non vi sarà alcun cambiamento. Infatti, il contratto a tutele crescenti (uno dei capisaldi della riforma) varrà esclusivamente per i nuovi rapporti di lavoro e darà la possibilità a tantissimi precari, per lo più giovani, di essere assunti in forma stabile. “Non un posto fisso garantito, a prova di licenziamento”, specifica Ferrera, “ma un impiego senza scadenza pre-fissata”.

Che è già un enorme progresso e miglioramento se paragonato all'attuale situazione di numerosi lavoratori: la certezza di un lavoro più a lungo termine darà ai giovani una diversa prospettiva di vita, con piani di carriera e di vita impossibili da compiere se il proprio orizzonte temporale va di mese in mese.

L'altro piatto forte della riforma è dato dalla revisione degli ammortizzatori sociali, che garantiranno quella protezione universale contro la disoccupazione che in Italia non si è mai avuta.

Di conseguenza, Ferrera non si spiega perchè le polemiche scaturite intorno al Jobs Act all'interno del Pd e dei sindacati abbiano completamente trascurato questo aspetto fondamentale della riforma, presente invece in tutti i programmi e in tutte le lotte politiche delle sinistre europee a partire dall'inizio del Novecento. La Naspi, ossia la Nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego, fornirà a tutti coloro che perdono il lavoro una indennità pari a circa il 75% dello stipendio per un tempo massimo di 24 mesi. In più, sarà avviata la sperimentazione di due sussidi aggiuntivi: l'assegno di disoccupazione (Asdi) per i lavoratori che, allo scadere del Naspi, non sono ancora riusciti a trovare un lavoro , non hanno altre fonti di reddito ed hanno una famiglia a carico; e un assegno, chiamato Dis-Coll, per i collaboratori a progetto che abbiano perduto il lavoro.

Una volta a regime, gli ammortizzatori sociali italiani potrebbero diventare i più inclusivi e, sotto alcuni aspetti, i più avanzati d'Europa. Di sicuro serviranno risorse adeguate, che non saranno però così difficili da individuare nel bilancio pubblico soprattutto se, ad esempio, si riuscirà a riportare la Cassa integrazione alle sue funzioni di un tempo.

E' intuitivo che un giudizio completo sul Jobs Act potrà esserci solo quando arriveranno i decreti delegati mancanti. Servirebbero, inoltre, il varo di un codice semplificato del lavoro, che porti allo sfoltimento dell'attuale proliferare di forme contrattuali come le “co-co-pro” fasulle, e l'istituzione di un'Agenzia nazionale che coordini i servizi per l'impiego e la formazione professionale.

Per quanto riguarda le possibili ripercussioni ed effetti del Jobs Act, in primo luogo ci si chiede se vi sarà un aumento dell'occupazione, che è poi ciò che maggiormente interessa agli italiani. Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha azzardato la stima di 800 mila posti di lavoro in tre anni, un ottimo traguardo se davvero dovesse realizzarsi. Molto, o forse tutto, dipenderà però dal comportamento delle imprese e dall'andamento dell'economia nei prossimi anni e, di conseguenza, ci si chiede: superato il nodo dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, le piccole imprese supereranno il limite dei 15 dipendenti, per assumerne altri ricorrendo al contratto a tutele crescenti? Un'altra domanda pressante è se le grandi e medie imprese smetteranno di delocalizzare e torneranno ad investire nel nostro Paese ora che il Governo sta puntanto su maggiore flessibilità e forti incentivi fiscali, e lo stesso dicasi per il ritorno degli investitori stranieri.

Ma, soprattutto, ci si chiede se ordini e consumi riusciranno a ripartire. Su tutto questo il Governo può agire ma fino ad un certo punto, trattandosi di scelte e comportamenti che dipenderanno dai vari soggetti economici in questione.

In definitiva, il Jobs Act è condizione necessaria, ma non sufficiente, per uscire dalla crisi e creare nuovi posti di lavoro. L'ottimismo in questi casi è fondamentale, dunque è giusto riservare speranze nei confronti della riforma che rappresenta comunque un passo in avanti importante sulla strada del rilancio ma solo se “ognuno farà la sua parte”, ha affermato giustamente Giorgio Napolitano.

Se la riforma verrà applicata in tutti i suoi aspetti, è davvero lecito sperare in un aumento dell'occupazione, in particolare tra i giovani e tra le fasce più vulnerabili della popolazione.

Dunque, molto dipenderà dalle imprese, per le quali il Governo sta pensando ad altri provvedimenti ad hoc, come riporta Carmine Fotina su Il Sole 24 Ore.

Il nuovo provvedimento del Governo per lo sviluppo prevede infatti credito garantito e sostegno alle Pmi più innovative. Il testo è stato quasi ultimato e conterrà la riforma del Fondo centrale di garanzia, norme specifiche per le fonti di finanziamento alternative al canale bancario, un insieme di semplificazioni e aiuti per le piccole imprese a maggiore potenziale competitivo, una revisione della regolamentazione per l'attrazione di capitali esteri.

In aggiunta, si sta valutando l'ipotesi di riconoscere la garanzia dello Stato sulle emissioni Abs mezzanine, per fare in modo che vengano acquistate della Bce nell'ambito del programma Draghi. Il provvedimento dovrebbe essere varato in questi giorni prevedendo quindi una copertura del Fondo sulle emissioni Abs. Il Fondo si aprirà anche ad altri intermediari, ad esempio le assicurazioni, quindi non più solo a banche e Confidi, con un raggio d'azione più ampio per allinearsi agli strumenti e alle azioni della Bce. Il provvedimento si occuperà anche di aumentare l'attrattività dell'Italia nei confronti degli investitori esteri: forse sarà inserita una norma specifica che impedirà l'applicazione di regole restrittive o veti a carattere retroattivo, per riuscire a creare un clima meno carico di incertezze per gli investitori stranieri.

In più, sono allo studio una serie di misure per individuare gli aiuti fiscali in favore delle aggregazioni e delle fusioni tra imprese; al ministero dello Sviluppo economico in questi giorni stanno anche valutando la creazione di un “Development bond”, una sorta di project bond ma non per le infrastrutture bensì orientato alla crescita del sistema industriale, in particolare dei progetti di filiera nel campo industriale.

Infine, il decreto in arrivo vorrebbe estendere le agevolazioni, delle quali attualmente usufruiscono le start-up, anche alle “Pmi innovative” tramite un cosiddetto “Investment compact”.

Il 2015, dunque, si presenta carico di novità e sembra vi siano tutte le giuste premesse per ridare slancio ad imprese, mercato del lavoro ed investimenti.

 

 

 

Fonte:   Maurizio Ferrera. Il Corriere della Sera

 

             Carmine Fotina. Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

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