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Il paradosso degli stress test

In un articolo apparso su Il Sole 24 Ore, Morya Longo e Fabio Pavesi fanno una rigorosa analisi di quello che è accaduto con gli stress test. Dopo i giorni convulsi dell'attesa dei risultati, nella speranza che il sistema bancario italiano passasse indenne la prova, e dopo l'arrivo degli esiti ed i successivi giudizi, è giunto il momento di commentare ciò che i test hanno rappresentato, e le loro conseguenze.

Secondo Longo e Pavesi, con gli stress test si è raggiunto un risultato quasi paradossale: da una parte, essi sono stati effettuati per rafforzare le banche, per far sì che queste tornassero ad elargire credito all'economia reale; ma dall'altro, hanno anche penalizzato proprio quelle banche che più si sforzano di concedere credito a famiglie e imprese.

La responsabilità va data ai parametri utilizzati per fare i test, che sembrano colpire più l'economia reale che non la finanza. E' questo uno dei motivi per cui l'Italia ha subito più batoste, rispetto ad altri Paesi, dall'esito dei test: le banche della Penisola sono molto più esposte di altre sull'economia reale, la quale, come si sa, non sta vivendo attualmente un momento florido.

La Germania, invece, è uscita vittoriosa dai test non solo perchè ha un'economia più prospera – il che di certo rappresenta un grande vantaggio – ma soprattutto perchè i grandi istituti di credito tedeschi sono poco esposti sull'economia reale, essendolo molto di più sui mercati finanziari.

Dunque non si può negare che l'esito degli esami condotti dalla Banca centrale europea sia dipeso parecchio dalla scelta e dal peso dei parametri. Lo scenario sfavorevole, sul quale testare la sopportazione dei bilanci bancari, immaginato da Bce ed Eba, prevedeva un marcato calo del Pil ( -6,1% per l'Italia, nei tre anni 2014-2016, -7,6% per la Germania e -6% per la Francia), un aumento della disoccupazione, un netto calo del prezzo degli immobili, una riduzione dell'inflazione.

Tutti questi parametri hanno colpito, naturalmente, soprattutto il portafoglio crediti delle banche; al contrario, le banche europee più esposte invece sul fronte della finanza, anche nello scenario avverso, raggiungerebbero addirittura 6 miliardi di ricavi.

I successivi risultati dei test sono stati fortemente condizionati da tali parametri, commentano Longo e Pavesi, poiché gli istituti di credito di alcuni Paesi sono molto sbilanciati sull'economia reale, mentre altri lo sono principalmente sui mercati. I dati di R&S Mediobanca parlano chiaro: i bilanci 2013 mostrano come le banche di Italia, Spagna e Olanda siano molto esposte sull'economia reale, con crediti verso la clientela pari al 56,3% del totale attivo per le banche italiane, al 58,4% per quelle spagnole ed al 58,2% per le olandesi. Nonostante la contrazione del credito di questi ultimi anni, per ogni 100 euro impiegato dalle banche italiane, 56 sono stati utilizzati per far credito a famiglie e imprese.

E' dunque logico, ipotizzando l'arrivo di un'altra grande recessione, che siano proprio queste banche a soffrire maggiormente, a differenza di quelle tedesche che hanno un'esposizione sull'economia reale appena del 30,5% dell'attivo, o di quelle francesi con un 36,1%, o di quelle inglesi al 44,4%. In compenso, gli istituti di credito di Germania e Francia sono pieni di derivati.

Mentre le banche italiane hanno solo un 6,6% di titoli derivati, le big del sistema bancario tedesco ne hanno per il 26,7% del totale attivo e quelle francesi per il 15,5%; inoltre, la maggior parte dei derivati, è utilizzato per fare “trading” e non per la copertura dei rischi.

Per non parlare dei titoli “tossici”, per i quali è impossibile dare una valutazione poichè non hanno valore di mercato: essi rappresentano il 48% del patrimonio netto tangibile in Germania, il 27% in Francia, contro l'appena 16,7% in Italia. Tutto questo fa sì che, ad esempio, le banche tedesche riescano a presentare un livello di solidità patrimoniale molto più elevato rispetto a quello italiano dato che il totale degli “attivi ponderati per i rischi” (Rwa), un parametro chiave su cui si calcola il fabbisogno di capitale, può essere artificialmente ridotto dagli istituti di credito tedeschi poiché la finanza pesa molto meno sui bilanci, rispetto all'economia reale.

Questo ha fatto sì che le banche tedesche abbiano tutte passato tranquillamente i test, anche la Commerzbank, che aveva chiesto aiuti allo Stato e che ha compiuto un aumento di capitale a maggio. I crediti sono meno della metà dell'attivo, il resto è costituito da trading finanziario.

Intesa Sanpaolo non solo ha un bilancio che è la metà di quello del colosso francese Societé Générale, ma ha anche un'esposizione doppia all'economia reale rispetto alla banca francese: eppure, per superare gli stress test, ha dovuto presentare gli stessi livelli di patrimonio di SocGen.

Si potrebbe dire molto anche delle banche inglesi, che pure sono fuori dall'Eurozona, e che hanno tutte superato i test, anche la Royal Bank of Scotland la quale tempo fa era stata nazionalizzata dal governo, per evitarle il default. Il suo punto di forza di questo istituto di credito, malgrado le crisi del passato, risiede nel fatto che possiede crediti per soli 530 miliardi, poco più di Unicredit che ha un bilancio totale più piccolo di oltre il 30%, e che quindi deve bilanciare la sua grande esposizione verso famiglie ed imprese mettendo da parte molto più capitale a garanzia della sua solidità finanziaria.

Chi fa credito e si espone all'economia reale è stato penalizzato dai test, su questo non c'è dubbio.

Nonostante la Bce abbia parlato di serietà degli esami, garantendo sia stata assicurata parità di trattamento a tutte le banche e a tutti i Paesi coinvolti, senza ambiguità e favoritismi, ci sono altri elementi che inducono a pensare che non sia andata esattamente così.

Alessandro Plateroti, su Il Sole 24 Ore, fa notare come è vero che le bocciature si siano abbattute principalmente sui Paesi più colpiti dalla recessione economica e finanziaria del 2008: in Italia 9 banche non hanno passato l'esame ( anche se solo Mps e Carige dovranno ricapitalizzare), a Cipro ed in Grecia tre, in Slovenia e Belgio due, mentre in Spagna Portogallo e Irlanda una.

Eppure, la logica dei numeri non dice tutto. Plateroti spiega che le banche di Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro ed Irlanda sono state rafforzate dagli aiuti della Bce e del Fondo Monetario, le banche francesi hanno goduto di contributi pubblici, mentre la Germania ha addirittura escluso dagli stress test gli istituti di credito locali e regionali, che sono esattamente quelli su cui si concentrano i maggiori sospetti di fragilità patrimoniale. Nel nostro Paese, invece, va ricordato che le banche non hanno goduto di coperture di sistema né di aiuti pubblici.

Il che significa che il bilancio finale del sistema bancario italiano andrebbe giudicato molto più positivamente rispetto a come hanno fatto analisti ed investitori. E' innegabile che manchino ancora 4 miliardi di ricapitalizzazioni, ma va anche detto che i nostri istituti di credito hanno rispettato le regole della Bce, operando una prudente gestione del risparmio, e questo nonostante le banche italiane si muovessero in un contesto regolatorio penalizzante sui concorrenti, con un mercato dei capitali quasi asfittico, in un sistema-Paese che sta lentamente avviando le sue prime riforme dopo 8 anni di crisi e con un aumento record della disoccupazione. Il tutto senza alcun aiuto pubblico o europeo. La buona gestione delle nostre banche è confermata anche dai 27 miliardi di euro di capitale in eccesso che emergono dai bilanci, uno dei livelli più alti in Europa.

Ecco come andrebbero letti i risultati degli stress test: il nostro sistema creditizio è più solido di quanto dicono i numeri e le vere criticità sono emerse laddove le banche hanno rapporti incestuosi con la politica, come accaduto a Siena e Genova. Un problema però già conosciuto da tempo.

 

 

 

 

Fonte:   Morya Longo, Fabio Pavesi. Il Sole 24 Ore

 

             Alessandro Plateroti. Il Sole 24 Ore

 

 

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