Una costellazione di imprese artigiane

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Garanzia Giovani, un bilancio poco positivo

Sono passati quasi due anni dal lancio del programma Garanzia Giovani, nato per aiutare gli under 30 a trovare un lavoro e, da un primo bilancio, lo strumento sembra essersi rivelato un flop. Questo è quanto emerge, scrive Gabriele Martini su La Stampa, da un report diffuso dall'Istituto per lo Sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol), ente pubblico di ricerca che dipende dal ministero del Lavoro. Quasi un milione di giovani si sono iscritti al programma, ma soltanto 32mila (appena il 3,7%) hanno trovato un lavoro vero. Dunque, ciascun contratto è costato oltre 36mila euro: gran parte dei soldi arrivati dall'Unione europea (1,5 miliardi) si disperde in sprechi e costi burocratici.

Il programma Garanzia Giovani è nato nel maggio 2014 per offrire opportunità di lavoro o formazione a ragazzi tra i 15 e i 29 anni, disoccupati o “Neet” (coloro che non studiano, non lavorano e non si formano). In Italia sono oltre due milioni, circa un giovane su quattro. Da Bruxelles sono arrivati 1,5 miliardi di euro distribuiti alle Regioni in base al tasso di disoccupati. Oltre un milione di giovani si sono iscritti al programma, che garantiva una risposta entro quattro mesi: un impegno per la maggior parte dei casi non rispettato.

Al netto delle cancellazioni (per mancanza di requisiti o perché qualcuno nel frattempo ha trovato lavoro) il totale di iscritti al 18 marzo 2016 risulta essere di 865mila. Se ne aggiungono 7/8mila ogni settimana. Numeri record nel campo delle politiche del lavoro. Gli uffici per l'impiego non riescono neanche a gestirli. Il problema è che dopo quasi due anni, un iscritto su quattro non ha ancora ricevuto risposta, ed alcune regioni fanno ancora peggio. Come in Lombardia, Calabria e Molise: uno su tre è ancora in attesa. In Piemonte si è avuto il record negativo, visto che il 47% dei partecipanti non ha ricevuto alcuna risposta.

I 642mila fortunati che hanno ricevuto una chiamata dai servizi per l'impiego risultano semplicemente “presi in carico” dal sistema, il che significa che effettuano un colloquio. Ma non si può valutare il successo del piano sulla capacità di istituire una pratica. Solo per 227mila al colloquio ha fatto seguito una “misura concreta” e, in gran parte, si tratta di tirocini. Oltre 52mila hanno seguito corsi di formazione. I “veri” contratti di lavoro sono stati appena 32mila. Cinquemila ragazzi sono invece stati indirizzati verso il Servizio civile.

Come mai 139mila tirocini, oltre quattro volte i contratti?, si chiede Martini. La risposta è che in tal modo i ragazzi sono pagati di meno e le imprese possono così risparmiare due volte: buona parte della retribuzione, infatti, è coperta dai fondi europei di Garanzia Giovani. La spesa per i tirocini ammonta a 404 milioni di euro. Non ci sarebbe nulla di male se non che, scorrendo l'elenco delle offerte sul sito del ministero del Lavoro, si legge: commesso, muratore, cameriera, aiuto pizzaiolo, assistente idraulico, badante, barista.

La verità è che il tirocinio è molto spesso un lavoro mascherato con orari che, alle volte, superano le 40 ore settimanali, ritardi nei pagamenti e neanche l'ombra di un progetto formativo. E così, nella bacheca annunci online, c'è persino chi cerca un pescivendolo ambulante “con esperienza”.

A questo punto, diventa urgente capire dove siano finiti gli 1,75 miliardi stanziati. Un euro su tre in tirocini. Il resto è finito tra centri per l'impiego e bonus alle imprese. Ma anche in una miriade di corsi, convegni, seminari, e via così. Nel bilancio del piano ci sono 240 milioni di euro sotto la voce “formazione”. Altri 120 sono destinati all'”accompagnamento al lavoro”. Circa 75 milioni sono stati stanziati per sostenere i ragazzi che tentano di mettersi in proprio, mentre 61 milioni sono andati in accoglienza e orientamento.

Il timore è che una fetta niente affatto marginale della torta si sia irrimediabilmente persa nei gangli della burocrazia. Perché purtroppo i giovani senza lavoro, per molti, sono un affare su cui lucrare.

Un peccato perché lo strumento di Garanzia Giovani, scrive Nando Santonastaso su Il Mattino, aveva una formula in qualche modo rivoluzionaria, almeno nelle intenzioni (con la scadenza dei quattro mesi entro i quali gli iscritti avrebbero dovuto ricevere una risposta alla richiesta di occupabilità o semplicemente di formazione). Certo, non sarà tutta colpa del fallimento di questo programma europeo se la disoccupazione giovanile nel nostro Paese continua a non diminuire (39,1%, secondo gli ultimi dati Inps ma al Sud la media è decisamente superiore). Però il sostegno ai giovani che sarebbe dovuto arrivare non c'è stato, con un bilancio in negativo che continua a far discutere. Anche perché bisogna in qualche modo misurarsi con altri dati a proposito del rapporto tra giovani e lavoro.

Le regioni meridionali stanno tornando verso quota 6 milioni di occupati, e i dati la dicono lunga sulle contraddizioni del sistema, a cominciare dal paradosso relativo agli sgravi fiscali per nuove assunzioni a tempo (la cosiddetta “decontribuzione” introdotta nell'ultima legge di Stabilità). Nel Mezzogiorno infatti, in tutto il 2015, i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato, instaurati grazie agli esoneri contributivi, sono persino superiori a quelli delle aree del Nord considerate non nel loro insieme ma per specifiche dimensioni territoriali (Nord est e Nord ovest). Siamo su livelli superiori al 35% del totale che, in regioni a basso tasso di industrializzazione, non sono affatto trascurabili, specie se si considera che sono molto di meno i contratti trasformati, quelli cioè che da tempo determinato sono diventati “pieni”, almeno per i tre anni previsti dal bonus del governo. Il fatto è che, nello stesso anno, gli under 30 senza lavoro non sono diminuiti in modo sensibile ed  anzi, la fuga al Nord o in Europa (e non solo per motivi di studio) non ha visto rallentamenti. In base all'ultimo rapporto dell'Ordine dei Consulenti del lavoro, la quota di 100mila partenti dal Mezzogiorno è stata confermata anche nel 2015, così come in termini numerici l'elenco dei senza lavoro meridionali non ha subìto nessun decremento.

Eppure, lo scenario deprimente del Sud comincia a mostrare qualche segnale incoraggiante, anche grazie al Jobs act e al bonus assunzioni della legge di Stabilità. Ad esempio, secondo Confindustria Mezzogiorno, dopo il crollo di qualche anno fa causa recessione, con un numero di occupati nel Sud complessivamente di poco superiore a 5 milioni e mezzo, alla fine del 2015 il numero è risalito a 5 milioni 970mila. Che certo sono ancora pochi rispetto ai 6,5 milioni del 2002, record assoluto di occupati nel Mezzogiorno, ma che lasciano comunque uno spiraglio, ossia la possibilità di toccare quota 6 milioni in tempi ragionevoli se ovviamente la mini-ripresa procederà senza intoppi e, al contrario, non peserà il dimezzamento del bonus assunzioni scattato quest'anno. Ciò significa che la spinta a garantire lavoro anche con contratti a tempo indeterminato ed altri incentivi molto vantaggiosi, al Sud non riesce ancora ad intercettare, se non marginalmente, i più bisognosi di un posto ossia i giovani. Infatti, la tendenza delle imprese sembra chiara anche se non dappertutto omogenea: dopo gli anni bui di crisi, meglio affidarsi in questa fase di rilancio dell'economia (peraltro, ancora molto modesta) a personale maturo, già preparato e formato, piuttosto che “rischiare” con giovani alla loro prima esperienza. Meglio un over 50 insomma, magari frettolosamente messo in libertà da aziende in crisi e senza prospettive di riapertura a breve termine. Sul mercato del lavoro questo è un target che vale di più. La crescita del tasso d'impiego risulta maggiore tra le classi d'età più elevate, un fatto certificato dalle ultime statistiche Inps e Istat, complice anche l'effetto della riforma Fornero sull'età pensionabile. Gli under 30 risultano così fortemente penalizzati, in un corto circuito paradossale. Il governo si impegna a favorire il loro ingresso nel mondo del lavoro ma la risposta, tra problemi burocratici ancora irrisolti, la paura di rischiare da parte delle imprese e i limiti oggettivi di questa mini-ripresa, rimane insufficiente e modesta. “Lo scorso anno” spiega l'economista Gianfranco Viesti “almeno per i primi sei mesi le cose al Sud, anche dal punto di vista occupazionale, sono iniziate a migliorare. La spinta dell'industria, però, è rimasta complessivamente debole e le conseguenze hanno finito per colpire gli altri deboli del sistema, i giovani. Perché è vero che si sono creati nuovi posti di lavoro in molte regioni meridionali ma, se si eccettuano alcuni casi, la scelta non ha sempre premiato gli under 30”.

Nonostante la nota positiva di Agostino Di Maio, direttore generale di Assolavoro, una delle “centrali” del lavoro in somministrazione, che spiega come, in base ai loro dati, “i nuovi assunti a tempo indeterminato da parte delle Agenzie...sono in aumento” non solo tra gli over 50, ma anche con buone percentuali sotto i 34 anni, “a riprova del fatto che le imprese vogliono comunque formare per il medio e lungo periodo i dipendenti”, il quadro generale non è comunque soddisfacente. La realtà fa troppo rumore per non essere ascoltata, conclude Santonastaso: e la realtà parla di una generazione di giovani che ha perso ormai l'appuntamento con il lavoro. E di loro il Paese dovrà farsi carico.



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